Il mese scorso Christian Cantrell, Engineering Manager presso l’Experience Design Team di Adobe, ha pubblicato un articolo dal titolo. “Why Sound Is Digital Design’s Fourth Dimension” .

Il sottotitolo recitava. Cosa accade quando il nostro dispositivo è troppo silenzioso?

Di seguito riporto una sintesi dell’articolo che mi ha convinto ad intraprendere l’avventura di questo blog.

In pochi paragrafi, infatti, Cantrell racconta la storia del suono sui nostri dispositivi. Nell’articolo si evidenzia che, oltre ad una memoria visiva e tattile, possediamo una memoria uditiva.

Storia del suono dei nostri dispositivi

Non si deve andare troppo indietro per ricordare, ad esempio, alcuni rumori della nostra quotidianità. Il rumore dell’ accensione dei nostri PC, l’avvio dell’Hard-disk o dei CR-ROM, il gracchiare della CPU. Oppure la melodia del modem che componeva un numero telefonico e il fruscio che indicava la connessione alla rete. Insomma, a pensarci, abbiamo superato un’ epoca davvero rumorosa.
Cantrell racconta.

In questi anni, la ricerca sugli hardware si sia concentrata sul silenziare tutte le funzioni dei nostri dispositivi elettronici e di come ci sia riuscita.

Abbiamo silenziato tutto. Tanto che, in alcuni momenti, si può avere qualche dubbio sull’effettivo funzionamento del PC o di altri dispositivi”.

E adesso? Adesso pare che manchi qualcosa. Pare sia necessario creare dei suoni artificiali per far comprendere all’utente che la macchina funzioni.

La quarta dimensione

Una volta che il dispositivo non produce più, da se, alcun rumore, il suono (della funzione) diventa una quarta dimensione del design. Il suono diventa un arco di relazione e di interazione tra l’utente e il computer e/o dispositivo.

E ancora.

Il suono diventa un’estetica informatizzata. Una quarta dimensione essenziale del design e al design. Una raccolta di segnali uditivi con la possibilità di migliorare le nostre interazioni. E anche contribuire a facilitare connessioni emotive.

Cantrell porta degli esempi che viviamo quotidianamente: il suono o la vibrazione dei tasti dei nostri smartphone. Oppure quelli del tablet. Suoni e vibrazioni emulano il suono di una vera tastiera. E comunque fanno rivivere, in un certo qual modo, l’esperienza tattile.

“La nostra esperienza uditiva quindi ha subìto e sta ancora subendo una trasformazione notevole”.

Arrivando anche a prospettive future dove si vuole cercare di personalizzare il contesto sonoro.

Dal rumore al silenzio

Il passaggio consiste nel passare da una esperienza fisica, forte, molto forte, come l’insopportabile ticchettio di una sveglia a corda, o il più lievi tamburellare della ghiera dei primi IPod, all’eliminazione totale dei suoni.
In questo passaggio Cantrell sottolinea non solo quanto “stiamo migliorando e arricchendo la tecnologia ma anche di come stiamo imparando meglio a conoscerci” e a capire quali sono i nostri reali bisogni.
Continua Cantrell:

“Il fatto che si continui a sostituire sia la dissonanza incidentale e puramente funzionale (i rumori casuali e legati alla funzione) con armonie accuratamente progettate e composte, e si continui a integrare l’arte (musicale) con altri tipi di esperienze (fondamentalmente) sensoriali, dimostra che stiamo sviluppando una sempre più sofisticata comprensione non solo della nostra tecnologia, ma anche di noi stessi”.

Insomma, aggiungo io, il bisogno dei suoni e della musica è un bisogno reale che continueremo ad avere anche nel futuro e di cui non possiamo fare a meno.

P.s

E se è vero che non possiamo fare a meno del suono, allora è ugualmente vero il bisogno di un blog che ne parli.