L’ascolto nella letteratura classica è alla base di ogni narrazione. E’ così anche nella progettazione contemporanea, nella creazione di un piano editoriale, nella nascita di una start-up. La progettazione che è centrata sull’utente non può fare a meno dell’ascolto.

Un buon sito, la struttura di un buon sito è il risultato di un buon ascolto. Come blog di architettura dell’informazione sonora, qualcuno mi intende come fossi un architetto delle orecchie. E in effetti l’ascolto è al centro dei miei studi, delle mie letture e di questo blog. Il suono come significato viene com-preso dalle orecchie e dal nostro senso dell’udito.

Ascolto Attivo

L’ascolto, come ho spesso detto, è pratica attiva, che coinvolge l’ascoltatore in maniera profonda. Ne sanno qualcosa confessori e psicologi che fanno dell’ascolto la loro vera e propria professione. Nell’ascoltare e nell’ascoltarsi accade una magia, una guarigione, un passaggio ad un livello mentale superiore.

L’ascolto vero è un sentire, un sentire dentro. E quando sentiamo… qualcosa cambia.

Nell’ascolto ci deve essere anche la volontà di volere e potere cambiare. Dopo l’ascolto, vero, partecipato, c’è un cambiamento. Può essere più o meno grande, più o meno piccolo, ma il cambiamento è inevitabile. Se restiamo immutati non abbiamo ascoltato abbastanza, non abbiamo capito. Foss’anche per rafforzare le nostre opinioni, nell’ascolto aperto troveremo la forza delle nostre idee.

Dove non c’è cambiamento non c’è ascolto.

I Feaci

Nella mitologia classica c’è addirittura un popolo che era ben consapevole di questa opportunità o pericolo: I Feaci. Maria Giulia Marini, Responsabile dell’Area Sanità e Salute della Fondazione ISTUD, lo definisce, il popolo dell’ascolto. (qui trovi e scarichi il pdf della relazione)

I Feaci sono un popolo mitico raccontati da Omero nell’Odissea.

Per chi non fosse avvezzo a questa lettura, ci troviamo sulla rotta di ritorno di Ulisse. Dopo le disavventure, più o meno desiderate, che lo hanno visto testimone delle trasformazioni della maga Circe e protagonista dell’accecamento del Ciclope, ascoltatore del canto, irresistibile, delle sirene e custode dell’otre di vento, Ulisse resta sette anni prigioniero della Ninfa Calipso. Un’odissea, insomma, un ritorno che è durato dieci anni. Quando viene, finalmente, lasciato libero, per ordine di Zeus, da Calipso, pare sia finita. Ulisse dovrebbe ritornare, finalmente, a casa. E invece Ulisse viene ancora una volta colpito da rabbia degli dei, sta volta da Poseidone, con una tempesta. Lasciato in mare per due giorni approda, naufrago, sull’isola dei Feaci. L’isola dovrebbe essere Corfù, detta Scherìa da Omero e identificata in Kerkyria da Tucidite.

Qui conosce Nausicaa, figlia del re Alcinoo e della regina Arete, che lo porterà a corte, dove Ulisse racconterà la sua storia.

L’Odissea raccontata ai Feaci

Il poema è tessuto ad arte e fa diventare grandi anche noi soprattutto attraverso la sua architettura, anche se i primi mattoni a prima vista, sono quelli che ci appaiono meno seduttivi.

Sebbene le metamorfosi della maga Circe, o le storie di Nessuno che accecò il Ciclope e dell’irresistibile canto delle sirene siano più famose, il vero racconto di Ulisse comincia sull’isola dei Feaci.

Qui, mentre Demodoco, l’aedo, racconta delle vicende di Troia, Ulisse inizia a piangere. Ulisse nell’ascolto rivive la sua storia. Quando Alcinoo vede questa sofferenza, nell’inevitabile spiegazione di quelle lacrime, Ulisse svela la sua identità. E’ in questo racconto che Ulisse ritroverà (prende coscienza di) se stesso.

L’ascolto dei Feaci

I Feaci sapevano che dopo l’ascolto sarebbero cambiati. Ma hanno voluto ascoltare ugualmente. Si sono avvicinati fisicamente, hanno ascoltato senza giudizio, ma con partecipazione.

I Feaci sono lì cinti ad ascoltarlo, senza esprimere un giudizio morale, condanne o lodi di approvazione: lo accolgono punto, con il cuore e con la mente, quella mente che sa traghettare le navi senza la fatica dei remi, un sistema di pensiero superiore, nell’unità e non più della dualità del Bene e del Male.

Quando Ulisse si interrompe, un po’ per le lacrime, un po’ perché è notte fonda, il re Alcinoo, lo incita a continuare

«La notte è lunga, infinita: e non è adesso l’ora
di dormire in palazzo: narrami ancora le tue prodigiose avventure.
Fino all’aurora io resterei, quando tu
acconsentissi a narrarmi le pene tue nella sala».

Odissea, XI, 373-376

Al centro degli eventi

Qui ci troviamo al centro degli eventi dell’Odissea. Qui sta tutta la narrazione. E’ in questo tempo che avvengono tutte le trasformazioni del Poema. Ulisse ritrova se stesso e porta a compimento il suo desiderio di ritorno a casa. Il figlio Telemaco diventa Uomo, staccandosi dalla madre, Penelope, che a sua volta torna Donna senza possesso. Maria Giulia Marini continua.

Attraverso il tempo della riflessione, la capacità di essere introspettivo, in questo luogo sospeso, con questi ascoltatori attenti, così concentrati che non si perdono una delle sole parole del racconto di Odisseo, egli si risana, guarisce, e da essere sopravvissuto sbattuto dalla risacca su una spiaggia, cresce ritrovando sé stesso, pronto per il vero nostos, quello
che lo attende in patria. Mentre Telemaco cresce nel suo fare, Ulisse cresce nel suo essere ritrovato e recupera il suo nome, pieno di significato.

Non più signor Nessuno ma l’Uomo Ulisse.

Permettersi di ritrovarsi

L’augurio che mi sono posta – conclude la Marini-  scrivendo queste poche righe sui Feaci è contribuire perché tra le persone comuni si possa recuperare la capacità di stare assieme per ascoltare le proprie Odissee a vicenda, senza giudicare, in un vicendevole aiuto per ritrovare se stessi: vi sono periodi in cui la mente è sgombra e nitida come quella dei Feaci e periodi in cui si è e ci si sente oudos (nessuno). L’incontro tra umani va ben oltre l’ospitalità superficiale e sta proprio nella conoscenza reciproca, quella che si svela, in un ambiente di fiducia da costruire lentamente e tale da permettere di dire la verità dietro la maschera, per esprimere dolori e tempi felici. Per permettersi di ritrovare, attraverso il racconto ad altri, chiarezza di navigazione e guidare da soli la propria nave verso il luogo desiderato.
Ecco a che serve l’isola dei Feaci, la cassa di risonanza della narrazione delle vicende umane.

Dall’ascolto alla progettazione

E’ in questa prospettiva che l’utente raccontando se stesso, esplicando i propri bisogni, le proprie necessità, trasmetterà all’architetto dell’informazione il cambiamento necessario per una buona progettazione. Non si tratterà di una guarigione nel senso medico e profondo del termine, ma si tratterà di un contributo per migliorare un servizio. Se questi bisogni resteranno inespressi non ci sarà soluzione.

L’architettura dell’informazione è volta a migliorare la quotidianità dei cittadini che navigano sul web o di cittadini che usufruiscono di servizi. Sappiamo tutti quanto ne abbiamo bisogno. La condivisione di soluzioni, di proposte costruttive, il ritrovamento di un minimo comune denominatore che renda l’esperienza di tutti migliore passa attraverso l’ascolto.