“Asino chi legge” o “Scemo chi legge”. Ci siete cascati anche voi?

Ve lo ripeto. Asino chi legge. Ci siete ricascati? Eppure vi avevo avvertito!

E niente, non c’è molto da fare, se qualcosa viene scritto qualcuno è costretto a leggere. È per questo motivo che le parole sono importanti. Per chi le scrive e per chi le legge. Per chi le pronuncia ma anche per chi le ascolta.

Prima dell’avvento della street art, che imperversa in ogni città, era frequente leggere frasi del genere nell’epigrafia muraria delle nostre città o nei bagni pubblici degli autogrill.

Ed è interessante scoprire come le parole possano costruire e possono “costringere” all’azione. La parola come azione o forza costruttrice. Tra gli architetti dell’informazione la chiamiamo usabilità delle parole.

Usabilità delle parole

Sull’argomento ne ha scritto lungamente Luca Rosati sul suo blog: Quando dire è fare.

Parole come Entra, Continua, Rivedi, Consiglia, Modifica, diventano come gli interruttori della luce sui muri, come le manopole dei fornelli del gas, come le maniglie delle porte che ci permettono di agire e di muoverci.

Nella progettazione di un sito, nella progettazione di una journey map, la ricerca delle parole e la loro coerenza lungo tutto il percorso sono fondamentali.

Per chi vuole approfondire trova anche un libro Language design: guida all’usabilità delle parole per professionisti della comunicazione

Il mito di Aconzio e Cidippe

Lo sapevano bene i greci e i latini che nelle loro mitologie avevano già tutto.

Sull’importanza della scrittura, come mezzo per fare, per far fare, per costruire, spiegare, ed eliminare le pieghe dell’incomprensione.

La mitologia di Aconzio e Cidippe racconta proprio di questo:

Aconzio, che proviene da Ceo (un’isola delle cicladi), durante un viaggio a Delo (sempre nell’arcipelago delle cicladi), in occasione delle celebrazioni dedicate ad Artemide (per i latini è Diana, dea della caccia e della natura selvaggia), si innamora di una ragazza incontrata per caso. La giovane donna si chiama Cidippe, una bella quanto sconosciuta ragazza, sacerdotessa della Dea, che ha la fortuna o sfortuna di far innamorare uno scrittore. Aconzio, appunto. Uno che, come dice Maurizio Bettini, professore di Filologia classica all’Università di Siena, è uno scrittore che sa farsi leggere.

Aconzio, inizialmente, non sa come abbordare la ragazza. Il poeta Callimaco all’interno della sua raccolta di elegie, gli Aitia, racconta che, Aconzio, straordinariamente colpito dalla bellezza della ragazza, escogita un sistema particolare per farla sua sposa.

Mentre la ragazza è nel tempio di Artemide le lancia una mela dove ha inciso una frase:

Giuro per Artemide che non sposerò altri se non Aconzio.

Cidippe, ingenua, legge quanto trova scritto sulla mela e si rende conto, solo dopo aver letto, di aver fatto un giuramento, nel tempio di Artemide, proprio davanti alla Dea. Un giuramento da cui non potrà più tirarsi indietro.

La lettura è un obbligo

Mi piace la declinazione che da Maurizio Bettini nel suo libro “Con i Libri”, edito da Einaudi. E purtroppo non più in catalogo. Bettini scriveva:

La lettura è un obbligo, un’attività compulsiva.

Quando si viaggia con la macchina, per esempio, è impossibile non leggere la frase “Dio c’è” sui segnali stradali; così come mentre si a piedi per la strada, gli occhi restano infallibilmente catturati dalle insegne dei negozi.

Per lo stesso motivo non si può neppure evitare di leggere i graffiti.

La lettura è un obbligo. Ma farsi leggere non significa farsi leggere proprio da una specifica persona. Il prof. Bettini, infatti, sottolinea che sì, Aconzio voleva conquistare Cidippe, ma dopo aver scritto con maestria, non consegna la mela alla ragazza. Aconzio si affida al caso. La mela viene lanciata nella speranza che fosse proprio Cidippe a raccoglierla. Il caso però avrebbe potuto farla raccogliere ad altra o altro.

Così come Aconzio, dunque, anche i graffitari non hanno un vero bisogno di comunicare.

Scrittura come atto di ostilità

Chi scrive graffiti, messaggi, disegna simboli, o quant’altro, non intende rivolgersi ad un interlocutore, né desidera realmente rivolgersi ad un interlocutore specifico.

Il graffito materializza la pulsione a un linguaggio segreto, incomunicabile, che nessuno dei suoi autori oserebbe trasformare in un messaggio autentico o in un in discorso pubblico.

Quello che si consuma nella toilette del treno non è un atto di comunicazione ma al contrario un atto di ostilità, la creazione di un vortice comunicativo in cui qualcuno, prima o poi, possa essere risucchiato. Eppure, pur sapendo tutto questo si continua a leggere.

E perché? Perché si continua a leggere? Perché impariamo a leggere a scuola, sotto la guida e l’occhio attento di un maestro?

Lettura e ascolto

Tutte le volte in cui si vede una frase scritta da qualche parte è come se, improvvisamente, uno sconosciuto si mettesse a parlare di fronte a noi. In questi casi, la prima reazione è quella di chiedere gentilmente: scusi sta parlando con me?

Come quando ci si accorge, troppo tardi, che una persona sta semplicemente parlando al telefono o saluta qualcuno nella stessa direzione e noi rispondiamo come fossimo noi i destinatari di parole e saluti. Troppo tardi, il contatto è già stabilito.

Le frasi scritte sui muri, le insegne, i manifesti, le pubblicità, (mi viene da pensare oggi anche ai vari post su facebook, i commenti più o meno aggressivi) hanno il potere di attirarci in un dialogo a cui non avevamo nessuna intenzione di partecipare e che in realtà non sempre riguarda specificatamente noi. Ed infatti, quanta robaccia leggiamo, senza volerlo.

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Sapere farsi leggere

Quando la scrittura è riuscita ad acchiappare un interlocutore lo lega a sé, come ha fatto Aconzio con Cidippe. Certo, bisogna sapere farsi leggere, anche. Ma si può imparare, se si vuole.

Maurizio Bettini  conclude:

Chiunque si accinge a leggere un libro deve sapere che alla fine avrà contratto un legame indissolubile con ciò che ha letto, diventandone addirittura prigioniero.

Diventandone addirittura prigioniero.

Le parole sono importanti, così come l’usabilità delle parole!

Parole che lasciano il segno

da Toni Fontana | Nov 14, 2016 

Lasciare il segno è stato il titolo del X Summit italiano dell’architettura dell’informazione. Questo è un post programmato, che scrivo, in buona parte, pochi giorni prima dal Summit. Datemi il tempo di interiorizzare l’intensa settimana appena trascorsa e scriverò le mie impressioni.

Pensando al tema, “Lasciare il segno” mi sono venute in mente tante strade da percorrere. Mi sono venute in mente tutte le persone che hanno lasciato un segno senza scrivere, ma semplicemente parlando, creando comunità. Sarebbe bello ospitare sul blog esperti di Socrate, per esempio, ma andrei troppo lontano dal tema e dalle mie competenze e soprattutto andremmo su argomenti che altri tratterebbero meglio di me.

Voglio restare, invece, sul più concreto (terra terra) e parlare delle cose che conosco. In particolar modo, oggi, vi parlo di un qualcosa che riguarda la mia terra. La Sicilia. Il dialetto siciliano.

Detti popolari siciliani sulla parola

In Sicilia si è sempre dato un valore alla parola come al silenzio. Perché il silenzio è d’oro. Come si dice in tutta italia. E la parola è d’argento, o peggio ancora, di piombo. Le parole vanno soppesate. Una parola è poca e due sono troppe, una parola è picca e dui su assai. E in effetti, la miglior parola è quella che non si dice “A megghiù parola è chidda chi un si dici“.

Però senza parlare non si può stare. In fondo, la testa che non parla si chiama Zucca, testa c’un parra si chiama cucuzza. E allora, ci viene in soccorso un consiglio. Prima di parlare mastica le parole. Prima di parlari mastica li paroli.  Rifletti bene sulle parole che stai dicendo. Che le parole non escano così come sono pensate, istintivamente. La parola come il cibo va mastica bene. Le parole vanno pensate, ma pensate anche con il cuore Quannu la lingua voli parrari, divi prima a lu cori dimannari. Chiedere al cuore cosa dire.

Perché poi la parola è utile. Lo sappiamo. Il saper parlare ti porta lontano.  E chi sa parlare, chi ha lingua, chi ha una buona favella) ha tutti i mezzi per attraversare anche il mare. Cu avi lingua passa ‘u mari.

Che la parola deve aiutarci e deve aiutare. Soprattutto quando si tratta di relazioni. All’amico, all’amico sincero parla con chiarezza. A lu tò amicu veru parraci chiaru. Perché la chiarezza e la sincerità portano con se la Fiducia.

Parole che lasciano il segno

Perché la parola, se detta in un certo modo, lascia il segno. Mia nonna, sosteneva di certi uomini che “parranu moddu e ‘mpiccicanu ruru” “parlano molle e colpiscono duro”. Lo diceva di persone suadenti, che parlano anche con garbo e con suono soave ma che dietro al modo c’era e c’è tanta cattiveria, tanto che le parole fanno male. E non certo per chiarezza, ma proprio per cattiveria. E si fa presto a dire che le parole non fanno buchi e non feriscono. I paroli nun fannu pirtusa. Perché le parole possono far male e, infatti, anche se la lingua non ha ossa … rompe le ossa, A lingua nunn’avi ossa … ma rumpi l’ossa. Ricordiamolo.

A queste persone non si risponde a tono, come spesso si dice. Anzi. Una risposta buona data a cattive parole vale molto e non costa niente. Assai vali e pocu costa a malu parlari bona risposta.

Che lo stile non è acqua e a buon intenditore poche parole.

Che però non si cada nel luogo comune…

Che non si cada nel luogo comune di una Sicilia mafiosa e omertosa, come rappresentata televisivamente ancora oggi. Che la Mafia c’è, esiste ed è tra di noi.

Ma a ben guardare, pur di parlare e di esprimere la propria Libertà, in Sicilia, per la parola, si muore. Che ben vedere, l’elenco degli uomini liberi è assai lungo.https://www.youtube.com/embed/dOy6Iel4hJ4?feature=oembed

Un discorso che ha certamente lasciato il segno è quello di Paolo Borsellino. Vi lascio al suo ascolto o al suo riascolto.