Il Poème électronique è un’opera audiovisiva creata nel 1958 dal compositore Edgard Varèse in collaborazione con l’architetto Le Corbusier e il designer Iannis Xenakis. Fu commissionata per il Padiglione Philips all’Esposizione Universale di Bruxelles.

In questo articolo si trovano le sintesi di due studi che ho trovato molto interessanti sul tema.

Verso un’architettura sonora

Il primo studio è quello di Alessandra Capanna, “Verso un’architettura sonora. Il Poème Électronique”, che ho trovato su Academia.edu e che ha attirato la mia attenzione proprio per il suo titolo. Il secondo studio è quello di Francesco Fiotti. Il Poéme electronique, un’opera d’arte totale e il suo contenitore.

Caratteristiche principali dell’opera

  • Musica elettronica: il brano di Varèse utilizza suoni concreti e sintetizzati, mescolati in un collage sonoro sperimentale.
  • Architettura e proiezioni: il padiglione, progettato da Xenakis con la supervisione di Le Corbusier, aveva una forma avveniristica e fungeva da enorme cassa di risonanza per la musica.
  • Esperienza immersiva: il pubblico entrava nel padiglione e veniva avvolto da suoni e immagini proiettate sulle pareti, creando un’esperienza multisensoriale.

Il Poème électronique è considerato un’opera pionieristica nell’ambito della musica elettronica e delle installazioni multimediali, anticipando molte delle tecniche oggi usate nei progetti audiovisivi immersivi.

Le condizioni poste da Le Corbusier

Le Corbusier accettò l’incarico di progettare il Padiglione Philips ponendo precise condizioni, espressione della sua visione artistica e della volontà di creare un’opera d’arte totale. Non si trattava di realizzare un semplice spazio espositivo, ma di concepire un’esperienza immersiva in cui architettura, suono e luce si intrecciassero in un unico linguaggio espressivo.

Pretese di essere non solo l’architetto del padiglione, ma anche l’autore dell’intero spettacolo che si sarebbe svolto al suo interno, rivendicando così il controllo totale sul progetto. Il Poème électronique doveva rappresentare la sintesi di diverse forme d’arte, unificate dalla riproduzione tecnica di suoni e immagini, con l’intento di superare i limiti tradizionali della rappresentazione artistica. Per questo motivo, volle accanto a sé Edgard Varèse, da lui definito “l’estremista dei suoni”, l’unico compositore che, a suo avviso, avrebbe potuto dare voce alla componente musicale dell’opera.

Una macchina espressiva

Rifiutò l’idea di un padiglione che fosse un semplice contenitore per prodotti Philips, trasformandolo in una macchina espressiva che diventava essa stessa parte dello spettacolo. Il padiglione non avrebbe dovuto esporre dispositivi tecnologici, ma dimostrare il potere evocativo della luce e del suono. Lo concepì come una “bottiglia contenente il poema”, un involucro che custodiva e amplificava il messaggio, ma anche come uno “stomaco”, capace di accogliere, elaborare e infine espellere i visitatori al termine dell’esperienza.

Pur delineando i principi fondamentali della struttura, lasciò a Iannis Xenakis ampia libertà nella progettazione architettonica, affidandogli il compito di tradurre le sue idee in forme matematiche. La geometria del padiglione non doveva essere solo esteticamente innovativa, ma anche funzionale alla propagazione del suono e alla proiezione delle immagini.

Con queste premesse, Le Corbusier ridefinì il concetto stesso di padiglione espositivo, trasformandolo in un ambiente vivo, un’opera immersiva in cui l’architettura diventava suono e il suono diventava spazio. La sua ambizione non era solo quella di sperimentare nuove possibilità artistiche, ma di dare vita a una visione del futuro in cui la tecnologia non fosse semplice strumento, ma veicolo di un’esperienza sensoriale profonda e significativa.

Esposizione universale di Bruxelles nel 1958

Il Padiglione Philips, presentato all’Esposizione universale di Bruxelles nel 1958, rappresentò un punto di svolta nella fusione tra architettura, suono e tecnologia. Commissionato dalla Philips per esibire i progressi nel campo dell’elettronica, della luce e del suono, il progetto si trasformò, grazie a Le Corbusier, in un’opera immersiva che superava la semplice esposizione tecnologica.

Il Poème électronique non era solo un padiglione, ma una performance multimediale in cui immagini, suoni e colori si intrecciavano in una coreografia percettiva senza precedenti.

Il Poème électronique

L’esperienza iniziava già all’esterno del padiglione, annunciata da un oggetto matematico sospeso sull’insegna e da un’altra struttura simile all’interno. Queste figure, a metà tra la rappresentazione tridimensionale di un politopo a quattro dimensioni e il celebre modello cosmologico di Keplero del Mysterium Cosmographicum, sembravano fluttuare nello spazio del padiglione.

I tre corpi immobili dell’universo, immaginati nel 1595, prendevano vita attraverso il movimento e la luce, proiettando ombre mutevoli sulle superfici interne dei paraboloidi.

Il percorso creativo che ha portato Le Corbusier a concepire questa esperienza è nato dalle lunghe conversazioni con Xenakis nell’atelier di rue de Sèvres.

Dal Poema dell’angolo retto al Poème électronique, si è delineata una nuova visione dell’architettura: non più solo da vedere, ma anche da ascoltare. Un’architettura che, pur non essendo ancora interattiva, aveva già qualcosa di sinestetico, in cui il pubblico diventava parte dell’opera attraverso i suoi movimenti imprevedibili.

Il suono e l’immagine non erano più solo elementi di una rappresentazione, ma luoghi da abitare poeticamente.

Uno spazio sonoro e architettonico

Le Corbusier concepì il padiglione come un ambiente avvolgente, una sorta di “stomaco” che poteva accogliere fino a 500 spettatori. L’idea iniziale di una bottiglia, ricorrente nella sua poetica, si trasformò in una tenda, simbolo archetipico di riparo.

Questa visione prese forma attraverso i calcoli di Iannis Xenakis, che tradusse l’intuizione architettonica in una struttura matematica precisa.

Il padiglione si articolava in paraboloidi iperbolici, superfici autoportanti che rispondevano alle esigenze statiche e offrivano piani per le proiezioni visive. Il risultato era una struttura fluida, quasi organica, una tenda pietrificata dove concavità e convessità si intrecciavano lungo costole oblique, culminando in tre vertiginose vette.

Il suono come architettura dinamica

L’esperienza sonora era il cuore pulsante del Poème électronique.

Edgard Varèse compose una partitura che esplorava il potenziale espressivo del suono elettronico, combinando campane, pianoforte, percussioni, oscillometri, cori e voci umane.

Il suono non si limitava a riempire lo spazio, ma ne modellava la percezione: i microfoni e i diffusori erano posizionati strategicamente per creare percorsi sonori tridimensionali. Le frequenze alte si propagavano dalle pareti, quelle basse si diffondevano dal suolo, generando un ambiente acustico in continua trasformazione.

Xenakis, oltre a curare la struttura del padiglione, contribuì con un interludio sonoro di due minuti, Concret PH, una composizione elettronica basata sull’elaborazione di suoni concreti, che intensificava l’effetto immersivo dell’esperienza.

Luce, immagini e tecnologia al servizio della percezione

L’integrazione tra tecnologia e narrazione visiva completava la sinestesia dell’opera. Il padiglione sfruttava un sistema sofisticato di proiezioni, che combinava immagini in movimento, proiezioni fisse, luci a raggi ultravioletti e fluorescenti.

Le superfici curve del padiglione diventavano tele dinamiche su cui si dipanava un racconto audiovisivo in sette sequenze, un viaggio che attraversava l’evoluzione dell’umanità, dalla preistoria agli anni ’50.

La pianificazione dell’intero spettacolo richiese un coordinamento minuzioso. Le Corbusier progettò un diagramma circolare per organizzare la successione ritmica degli elementi visivi e sonori, strutturando l’esperienza come un flusso ininterrotto di stimoli sensoriali.

Un’esperienza totale

Il Poème électronique fu un esperimento senza precedenti, una delle prime manifestazioni di architettura sonora e sinestesia spaziale.

Qui, lo spazio non era solo contenitore, ma parte integrante della performance; il suono non accompagnava le immagini, ma definiva l’ambiente, creando una nuova modalità di abitare la percezione.

Il Padiglione Philips

Il Padiglione Philips è diventato uno dei più singolari “oggetti a reazione poetica” di Le Corbusier, identificandosi con il Poème Électronique che veniva rappresentato al suo interno. Lo spettacolo è stato progettato come un’opera multimediale in cui gli strumenti virtuali erano le luci, gli altoparlanti, le immagini del Poème, le ombre e le espressioni degli spettatori. Queste ultime venivano proiettate sulle superfici incurvate, in una sostanziale identificazione dello spazio con le immagini e con il suono.

Lo studio di Alessandra Capanna discute sulla relazione tra l’arte e la matematica, l’evoluzione del pensiero scientifico e i cambiamenti nelle tecniche e nello stile nell’arte figurativa.

Alessandra Capanna, in questo saggio, esplora l’idea di una sintesi delle diverse arti, che interpreta i caratteri della modernità e fa proprie le conquiste della tecnica e le scoperte scientifiche. E questo per definire un linguaggio comune alla musica, architettura, cinema, pittura.

Un’esperienza che ha fuso suono, spazio e tempo in un’unica dimensione multisensoriale

Il Poème électronique è stato uno dei progetti site-specific più complessi mai realizzati, un’esperienza che ha fuso suono, spazio e tempo in un’unica dimensione multisensoriale. La sua esistenza non sarebbe stata possibile senza l’assoluta integrazione tra l’architettura e lo spettacolo, tra il contenitore e il contenuto, tra lo spazio fisico e quello sonoro.

Questa simbiosi dava vita a un’opera quadridimensionale, un’esperienza totale che oggi possiamo solo immaginare attraverso le registrazioni d’archivio. Abbiamo un filmato che mostra la sequenza delle immagini proiettate su una singola parete, accompagnato dalla traccia audio originale.

Per decenni, il Poème électronique è rimasto nell’ombra, dimenticato persino dalla Philips.

Il filmato è privo di qualsiasi ripresa del padiglione, ed è sopravvissuto solo grazie a poche copie in formato VHS, gelosamente custodite da studiosi di Le Corbusier e Xenakis, che le proiettavano in rare occasioni, quasi come reliquie.

Solo con l’avvento del nuovo millennio l’opera ha trovato nuova vita, diventando facilmente accessibile sul web e finalmente riconosciuta nella sua portata innovativa e possiamo riascoltare e rivedere frammenti di quella visione pionieristica.

Ma l’esperienza autentica del Padiglione Philips resta legata a un passato irripetibile, a un’epoca in cui l’architettura iniziava a essere pensata non solo per gli occhi, ma anche per le orecchie.

Che materiali furono usati per la composizione sonora?

Per la composizione sonora del Poème électronique, Edgard Varèse esplorò un’ampia varietà di materiali e tecniche, combinando strumenti tradizionali, suoni elettronici e rumori ambientali trattati attraverso tecnologie innovative.

Tra gli elementi utilizzati, le campane contribuivano con la loro risonanza metallica e percussiva, mentre gli accordi di pianoforte introducevano armonie e melodie, seppur rielaborate elettronicamente. Le percussioni aggiungevano ritmo e dinamica, mentre gli oscillometri generavano suoni sinusoidali puri, calibrati su frequenze precise per creare effetti elettronici.

Anche la voce umana aveva un ruolo fondamentale, con registrazioni di cori e voci soliste che aggiungevano una dimensione organica alla composizione. Infine, l’uso di macchine per la produzione di rumori arricchiva il paesaggio sonoro con texture complesse, annullando la distinzione tra suono e rumore, un principio fondamentale per Varèse, che considerava il rumore come un suono in divenire, risultato di vibrazioni irregolari e dinamiche imprevedibili.

Architettura sonora del padiglione

L’architettura sonora del padiglione non si limitava alla scelta dei materiali, ma includeva una precisa strategia di diffusione del suono nello spazio. I microfoni erano suddivisi in due gruppi: quelli ad alta frequenza, posizionati sulle pareti, definivano delle “routes sonores” che guidavano il suono lungo percorsi tridimensionali, mentre quelli a bassa frequenza, collocati a livello del suolo, creavano una base profonda e immersiva. Questo sistema di distribuzione permetteva di modellare l’esperienza acustica, facendo percepire il suono come un’entità in movimento, capace di espandersi e contrarsi all’interno dell’ambiente.

Accanto alla composizione principale, Iannis Xenakis contribuì con un interludio di due minuti, Concret PH, un esperimento basato sulla manipolazione elettronica di suoni concreti ispirati alla quotidianità.

L’opera nel suo insieme rappresentava un’innovazione radicale, in cui strumenti musicali, tecnologia e rumori ambientali si fondevano per creare un’esperienza sonora senza precedenti, in perfetta sintonia con l’architettura immersiva del padiglione.

In che modo il “Poème électronique” rappresentò una visione del futuro?

Forse tutto questo può sembrare banale oggi. Ma nel 1958 il Poème électronique rappresentava uno sguardo verso il futuro in cui arte, tecnologia e condizione umana si intrecciavano in un’unica esperienza immersiva. Attraverso l’integrazione di architettura, musica, immagini e suoni, l’opera anticipava un mondo in cui la tecnologia non sarebbe stata solo un mezzo espositivo, ma parte integrante della creazione artistica.

Il padiglione Philips, concepito come uno spazio sensoriale totale, offriva un’esperienza che avvolgeva lo spettatore, prefigurando ambienti immersivi come quelli della realtà virtuale e aumentata.

Idea ottimistica del progresso

Al centro di questa visione c’era un’idea ottimistica del progresso, narrata attraverso la storia dell’umanità, dal passato primitivo fino alla modernità, con un messaggio finale di speranza e fiducia nelle possibilità dell’uomo.

In un periodo segnato dalle tensioni postbelliche, l’opera di Le Corbusier e Varèse si poneva come un manifesto per la riconciliazione tra uomo e tecnica, mostrando come la scienza potesse essere alleata del progresso umano anziché una minaccia.

Il suono stesso, grazie alle intuizioni di Xenakis, non era più solo un fenomeno temporale, ma diventava un elemento spaziale, aprendo nuove prospettive per la musica e la sua fruizione.

Questa ricerca si rifletteva anche nell’uso innovativo dei materiali sonori, dalla sintesi elettronica ai rumori della quotidianità, che anticipava l’evoluzione della musica concreta ed elettronica.

Il Poème électronique si configurava così come un’opera d’arte totale, capace di superare le tradizionali separazioni tra le discipline artistiche per creare un linguaggio espressivo unico. Oltre a essere una celebrazione del potenziale tecnologico, l’opera restava soprattutto un’esperienza umana e poetica, un invito a immaginare un futuro in cui il progresso fosse al servizio della creatività e della bellezza.