Essere un architetto dell’informazione, oggi, (in Italia, ma non solo) significa, secondo me, essere un pioniere. Significa essere una persona che ha un desiderio spropositato per la scoperta di un nuovo mondo. Significa rinunciare alle certezze del passato per lanciarsi in un futuro mai comodo.

Un pioniere, quando comincia il suo cammino, deve mettere in conto la sofferenza della solitudine. Capita, durante il viaggio, di incontrare propri simili. A volte si incontrano persone interessanti con cui percorrere parte del cammino, per sostenersi a vicenda. Altre volte, si incontrano approfittatori che ti abbandonano quando il viaggio sarà più difficile.

Comunque vada il pioniere sa di essere solo.

È anche la vostra sensazione o no?

Pioniere per la Treccani

La Treccani spiega bene. La parola pioniere, che è un francesismo, deriva dall’etimo italiano di pedone.

Nell’accezione assunta da questa parola nel sec. 19° («chi comincia a sfruttare territorî vergini», «chi apre la via al progresso»); prima significò «fante» e successivamente «soldato del genio»].

Ma è anche colui che

apre una via agli altri, esplorando regioni sconosciute e insediandosi in esse, in modo da consentire nuovi sbocchi all’attività umana.

I pionieri degli Stati Uniti d’America

Oggi le storie del Far West che hanno affascinato i nostri nonni e genitori, quando erano bambini, non vanno più di moda. Oggi il far West è oltre le stelle. Sebbene oggi il tema predominante dei film di fantascienza è il ritorno alla terra che diventa sempre più difficile. Vedi Gravity.

La grande migrazione verso il Far West

Chi mi ha spinto a creare questo blog mi ha fin da subito presentato la vita del blogger come un pioniere. E su questo termine ho spesso riflettuto.

Surfando per il web, come si faceva una volta, sono arrivato ad un articolo che mi è molto piaciuto. Si tratta di un articolo di Sergio Mura che racconta la storia del carro dei pionieri. L’articolo racconta di come, nel 1835, si ebbe l’avvio di questo processo di migrazione verso il far West.

Erano tempi in cui solo i più coraggiosi e avventurosi tra i pionieri potevano trovare le forze ed il coraggio per affrontare un viaggio terribile e rischioso come quello verso la frontiera, seduti a cassetta di un carro di legno dotato di una copertura leggera. Era il carro dei pionieri, la “goletta delle praterie”, un derivato semplificato del famosissimo (e pesantissimo) carro “Conestoga” prodotto in Pennsylvania. Proprio sui Conestoga si era svolta la prima migrazione, quella che aveva trasportato oltre le Montagne Rocciose.

Viaggiare con la goletta delle praterie mi fa pensare ad una barchetta che attraversa il mare tra le intemperie. E seppure bisogna anche ammettere come questa migrazione fu l’inizio della fine per gli indiani d’America, in fondo, i pionieri erano solo in cerca di un luogo dove costruire un mondo migliore per se stessi.

Il lento incedere dei pionieri

Continua Sergio Mura.

Tutti a piedi tranne il conduttore. Il viaggio era lentissimo e ogni giorno si riuscivano a coprire al massimo 20 miglia, se la stagione era buona e se il tempo era clemente. Altrimenti la strada percorsa diventava proprio poca.
I pericoli erano sempre in agguato ed i pionieri lo sapevano bene. Per questo cercavano di organizzare gruppi di carri, in maniera da sostenersi l’uno con l’altro nei momenti del bisogno. Inoltre, stare in gruppo serviva a tenere lontani gli indiani quando si attraversavano le loro terre. Gli attacchi alle carovane erano, infatti, molto rari. Mentre erano frequenti quelli ai carri isolati.

Architetto dell’informazione nella prateria italiana

Se ti trovi a leggere questo articolo non c’è bisogno che ti spieghi io quale sia la tua condizione lavorativa. Sappiamo tutti sulla nostra pelle cosa significa il mondo del lavoro, in questo tempo. E sappiamo tutti che il mondo del lavoro non è più un mondo di riscatto, come lo fu negli anni del boom economico italiano.

Se da un lato c’è l’illusione del talento che dovrebbe permetterti tutto dall’altro lato si trova sfruttamento e precariato. Il gioco è truccato. Quell’illusione sarà realtà solo per l’elitè che sa già che ricoprirà quei ruoli.

Per cui è necessario che ci si voglia un po’ di bene tra chi elite non è. O quanto meno, sarebbe augurabile non farsi del male, tra di noi. Stiamo tutti lottando in una prateria sconfinata. Una prateria al confine con il deserto. Deserto culturale, giungla di analfabetismo digitale e di ritorno.

Si tratta certamente di una sfida. Così come scrivevo meno di un anno fa in Architettura dell’informazione in provincia. Una sfida.

Ciascuno di noi è e deve diventare un laboratorio politico e culturale. Ciascuno di noi è luogo di sperimentazione. E ciascun paletto, ciascuna difficoltà, deve diventare sfida per innovare.

Il WIAD e gli eventi UX

È per superare la solitudine che esistono e si organizzano eventi come il WIAD, la giornata mondiale dell’architettura dell’informazione.

A tal proposito sto intervistando gli organizzatori dei 5 WIAD (Palermo, Bari, Roma, Genova e Trento) che si svolgeranno in Italia. Una comunità attiva ma che vive separata per forza di cose.

Puoi leggere le interviste dedicate al WIAD 2018. Si tratta di eventi che ridanno energia, in cui si incontrano persone con interessi comuni, con visioni del futuro interessanti. Per vivere o per sognare ancora un altro anno.

Sognare è vivere

Di recente ho avuto modo di vedere il film Sognare è Vivere di Natalie Portman, tratto dal libro autobiografico di Amos OzUna storia di amore e di tenebra.

Sono stato colpito da due brevi scene del film (tra l’altro poco piaciuto alla stampa).

Kadima

In una scena il padre del protagonista spiega una parola che è Kadima (in ebraico: קדימה, Qādīmāh, “avanti”, ma che etimologicamente deriverebbe (come spiegato nel film) da Kedim che significherebbe tempi passati. Per cui l’oratore, presumo si dica kadima, sarebbe colui che “guarda in avanti al passato”.

Per come è stato pronunciato, sarebbe il nostro equivalente “Daje!” Che tradurrei poeticamente in “raccogli tutte le forze del passato e vai sempre avanti!”

Pioniere per Amos Oz – Sognare è vivere

In un altra scena, Amos Oz, o almeno gli sceneggiatori del film, si parla della terra promessa degli ebrei. E dunque di coloro che per primi fanno la loro comparsa.

Così recita la voce narrante.

Sognare la terra promessa come la terra del latte e del miele, dove i pionieri facevano fiorire il deserto. Immagina come un poeta, un contadino, un rivoluzionario. Nato sia per i campi, come per i campi di battaglia, ma anche come un essere sensibile e intellettuale. Far fiorire il deserto, il pioniere.

Essere un pioniere

Attenzione. Tra i pionieri c’erano e ci sono anche i cattivi. C’erano i pistoleri, gli arrivisti, gli schiavisti, i fuorilegge che scappavano dalla giustizia. Così come adesso c’è chi vende fumo, truffa la gente comune, chi sfrutta i lavoratori, chi brucia il mercato vendendo professionalità che non possiede. In ogni migrazione c’è il bene e c’è il male.

Non è a questi che mi riferisco. Ecco, mi avete capito.

La figura del pioniere che mi immagino è quella dell’esploratore. Forse anche romantica, se volete. Però è quella figura che ha permesso a centinaia di migliaia di persone di avere una speranza per un mondo migliore. Cosa che per secoli, l’America, è stata. Il sogno americano, nonostante tutto, è sempre vivo.

Immagino, dunque, l’architetto dell’informazione così come un pioniere che fa fiorire il deserto. Un poeta che scrive e che declama, un contadino che si sporca le mani della terra e dei codici. Forse anche in balia di forze che non riesce a controllare del tutto. Rivoluzionario nell’andare contro corrente, nel chiedere un cambio di paradigma. Nato per pensare, riflettere, offrire un’ etica del web. Un essere sensibile, che pone le persone al centro di tutto. Un intellettuale che dal canto della sua solitudine offre un’altra via.

Buona avventura a tutti!