Questa settimana intervista a Simone Borsci, ricercatore, assistant professor presso l’Università di Twente, regione nell’est dei Paesi Bassi, la parte più orientale e urbanizzata.

Simone Borsci è un professore ma è anche un ricercatore puro. Non è facile trovare notizie su di lui senza andare a leggere le numerose ricerche che ha condotto.

Se si vuole indagare sulla sua carriera accademica e lavorativa è necessario visitare la pagina dell’Università a lui dedicata.

Qui facciamo solo una piccola sintesi, per quanto possibile.

Interessi e campi di ricerca di Simone Borsci

Simone Borsci si occupa di Prototyping, Information Technology, Cognitive Development, Usability, User Experience, User Studies, Interaction Designing, Design Thinking, Rapid Prototyping.

I campi di ricerca sono

i Fattori umani ed ergonomia; HCI / HRI, interazione con tecnologia e artefatti, studi di usabilità e accessibilità, analisi dell’esperienza utente in contesti informatici ubiquitari, modellazione del comportamento umano, servizi per la salute e la disabilità e design del prodotto, abbinamento di persone e tecnologia, ricerca qualitativa e quantitativa della psicologia applicata utilizzando multivariato e tecniche statistiche predittive.

Le sue esperienze lavorati e le sue competenze riguardano il mondo dell’User experience in progetti innovativi e all’avanguardia. Ha lavorato e continua a lavorare in progetti interdisciplinari con particolare attenzione, per la sua parte, all’usabilità, UX e fattori umani, sia in ambito accademico che industriale.

Ricerca e insegnamento

Dal 2008 fa ricerca e insegna presso alcune delle migliori università europee.

Insegnante di psicologia dell’apprendimento e della disabilità, presso l’Università degli Studi di Perugia. Ricercatore presso Human Factors Research Group dell’Università di Nottingham, per il progetto Live Augmented Reality Training Environments (LARTE) con Jaguar Land Rover. Ricercatore presso la Brunel University dove ho svolto ricerche su diversi argomenti come le tecnologie dei dispositivi medici e le prospettive degli utenti. Dal 2015 al 2018 Fellow e co-lead dell’unità Human Factor del NIHR DEC London presso il dipartimento di chirurgia e cancro dell’Imperial College. E come dicevamo all’inizio adesso è professore presso l’unuiversità Belga.

Simone Borsci ha una vasta esperienza nella progettazione di studi etnografici, test a distanza e in-house / di laboratorio e nella progettazione e utilizzo di questionari di indagine, pensiero ad alta voce, focus group e interviste.

Attualmente si occupa di

  • integrazione dei fattori umani e dell’economia sanitaria per la valutazione e lo sviluppo di dispositivi medici;
  • il concetto di fiducia nell’uso;
  • metodi di valutazione dell’usabilità e della UX per VR / AR e strumenti medici;
  • interazione uomo robot ;
  • interazione con interfacce conversazionali e chatbot.

Passione per il proprio lavoro

Ma forse per capire la passione per l’insegnamento e il metodo di lavoro di Simone Borsci è necessario leggere un suo recente post (ottobre 2020) che ho trovato sulla sua bacheca social.

Ogni anno in questo periodo prendo tutti i contenuti delle mie lezioni. Seleziono circa il 20% che non posso o non voglio cambiare, butto via tutto il resto e ricomincio da capo. Ogni anno è più difficile…ed è faticoso non cadere negli schemi già utilizzati. Ma questo mi obbliga sempre a cercare un modo nuovo o diverso, non sempre migliore, per dire le stesse cose.

Intervista a Simone Borsci

Simone non ne parla, ma tra le altre cose ha scritto un libro insieme a Masaaki Kurosu, Stefano Federici e Maria Laura Mele. Un libro introvabile di cui consiglio il formato Kindle. Computer Systems Experiences of Users with and Without Disabilities: An Evaluation Guide for Professionals (Rehabilitation Science in Practice Series) (English Edition).

In questa intervista apre a scenari di ricerca davvero affascinanti. E questa intervista è un po’ come uno dei miei primi summit di Architecta, quando mi sono sentito un po’ sovrastato dall’immensità delle cose da studiare.

Di cosa ti stai occupando in questo periodo?

Da circa un paio di anni mi sto occupando sempre di più di intelligenza artificiale e società ibride per intendersi quelle in cui persone e AI collaborano nelle decisioni.

Tutto il mio lavoro, se vogliamo riassumerlo attorno ad un punto focale, è centrato su un tema: come valutiamo l’interazione (con qualsiasi cosa dell’artefatto al sistema complesso) sia a livello micro (individuale) che a livello di macro (sociale) in modo da avere misure che ,al di là di oggettivo e soggettivo, siano affidabili, comparabili e replicabili in modo da permettere a chi sviluppa per esempio un servizio di avere evidenze empiriche riguardo le ripercussioni e l’impatto di quel servizio su chi lo utilizza, ma anche su chi lo amministra (insomma i famosi stakeholders).

Fra le altre cose ho lavorato e sto lavorando molto sui Chatbot  e come valutarli, anche grazie all’aiuto degli amici di userbot.ai, ma anche sulla realtà virtuale e aumentata. Mi ci è voluto un po’ ma ora abbiamo un moderno sistema di simulazione di guida nel mio laboratorio, che per il resto era già veramente avanzato. Il prossimo passo è avere una CAVE di realtà virtuale, per simulare il virtuale nello spazio fisico.

Inoltre sto cercando di indagare dal punto di vista cognitivo il concetto di distrust (che non è esattamente l’opposto di fiducia) verso le tecnologie.

Quale parte del tuo lavoro ti piace e ti diverte maggiormente?

Confrontarmi con le persone, dagli utenti di qualsiasi età, ai designers, dal fisico teorico al medico di base ed essere continuamente esposto a sistemi e concetti complessi, a problematiche reali e a soluzioni innovative, questo per me equivale a non annoiarsi mai. Non puoi neanche immaginare i lavori a cui ho detto no, anche allettanti, perché sapevo già che mi sarei annoiato.!

Inoltre, ho il piacere di insegnare che è un compito essenziale di chi fa ricerca, formare e far crescere nuovi esperti, questo mi mantiene giovane e mi permette sempre di riscoprire concetti e approcci che magari avevo letto o studiato in passato ma a cui non avevo dato peso, o di cui non avevo colto l’importanza. Dovendo insegnare secondo me riscopri le basi, e se sei fortunato anche nuovi temi da investigare.   

Quali sono i tuoi strumenti di lavoro quotidiani?

Per fare ricerca nel mio campo, quello dell’ergonomia cognitiva, servono tre strumenti essenziali: Conoscere i metodi, avere immaginazione e tanta resilienza al fallimento. Credo che questo valga per chiunque faccia ricerca. Per il resto dal punto di vista tecnologico, certamente servono conoscenze degli strumenti di statistica e di programmazione. Infatti, oggi nel campo della psicologia applicata serve collaborare con ingegneri ed esperti informatici e saper programmare un codice in diversi linguaggi è una capacità importante, soprattutto se si vuole fare ricerca con tecnologie avanzate e comprenderne il potenziale impatto.   

Ti sei occupato di chatbot rivolti a persone disabili. Da quanto ho letto i risultati non sono stati entusiasmanti.

Si, purtroppo, quando si parla di chatbots ed in generale di AI c’è tanto sapere tecnologico e pochissima metodologia di ricerca e questo è un problema. Infatti, non esistono ancora (ci stiamo lavorando) modi per comparare e valutare l’interazione con AI, dai robots ai chatbots.  

Ci puoi raccontare questa ricerca?

La ricerca che abbiamo condotto è stata una analisi sistematica della letteratura che ha rilevato come, anche in campo medico riabilitativo, il criterio principale di valutazione della qualità di un chatbot sia principalmente centrato sul misurare quanto quello strumento sia efficace a far migliorare un paziente, senza considerare per esempio, se a livello di esperienza utente il chabot sia soddisfacente o comunque lasciando fuori aspetti importanti o peggio misurandoli in termini di opinione invece che tramite misurazioni valide.

Questo  suggerisce che, esistono molti strumenti chatbots o assistenti digitali basati o meno su AI che sono ottimizzati per aiutare un paziente a riabilitarsi o una persona con disabilità a sviluppare una competenza, ma il come questo avvenga da un punto di vista qualitativo non è dato saperlo, ne sappiamo se uno dato tool è migliore di un altro, perché quando i sistemi vengono valutati in modo estremamente soggettivo o con metodologie non validate diventa difficile effettuare analisi comparative.

Pensi che con l’avvento dei chatbot siano tempi duri per l’usabilità. 

No, anzi il contrario. L’intelligenza artificiale ha bisogno di usabilità, forse anche di più che di fiducia. Uno dei temi dell’AI a livello internazionale è appunto come assicurare la trust (fiducia) verso i sistemi e la trustwortiness (la capacità di ispirare fiducia), che sono concetti bellissimi, ma purtroppo vuoti, perché il come misuriamo la fiducia ,quando parliamo di tecnologie e soprattutto tecnologie intelligenti, è un’incognita.

Quello che sappiamo è che l’usabilità è una componete della fiducia verso le tecnologie, ma questo è solo uno degli aspetti (diciamo il lato umano) della relazione con le AI, poi c’è tutto il lato come disegniamo le AI per ispirare fiducia (senza scadere nella persuasione e nei dark patterns) e poi c’è il lato oltre lo specchio: come rendiamo consapevole una AI che non sta ispirando fiducia, in modo che adatti o cambi il suo comportamento in base ai contesti e alle reazioni degli utenti?

Tutto questo è fortemente legato all’usabilità e all’interazione fra uomo ed artefatti, per cui ci sarà bisogno di allargare le definizioni di usabilità, accessibilità ed user experience, e di costruire con il tempo metodi nuovi per valutare l’innovazione. 

Cosa pensi si stia trascurando nello sviluppo dei chatbot.

Qui la risposta è semplice, la valutazione sistematica sia a livello oggettivo che soggettivo, proprio perché mancano gli strumenti per farlo e spesso non ci si pone il problema di utilizzare metodologie trasparenti, valide e comparabili. Questo è un serio problema, perché è solo tramite la standardizzazione dei metodi di valutazione e quindi la possibilità di comparare i prodotti fra di loro, in termini di funzionalità, usabilità, accessibilità ed esperienza utente in maniera affidabile ed accurata che si riesce a far crescere un settore ,offrendo cioè la possibilità di “misurarsi” con gli altri servizi o prodotti e comprendere cosa funziona e cosa no.

Dall’analisi dell’esperienza utente di VR, realtà aumentata e applicazioni mobili in contesti informatici ubiquitari, ai chatbot.

Qual è il filo conduttore per il tuo lavoro?

Il filo conduttore è lo scambio con i sistemi e dentro i sistemi. Quale impatto hanno i sistemi su di noi dal punto di vista psicologico? Quale è l’impatto dei sistemi sulla società? Come ottimizziamo i sistemi per renderli resilienti?

Un esempio che magari chiarisce di cosa sto parlando è il da Vinci Robot per operazioni chirurgiche, in un recente articolo[1] viene sottolineato come questo strumento sia diventato negli anni una tecnologia sempre più affidabile e precisa dal punto di vista tecnico, ma che la vera differenza nel migliorare le prestazioni chirurgiche con questo strumento è dovuta alla capacità acquisita nel tempo dai chirurghi e dallo staff medico di anticipare i limiti dello strumento ed evitare possibili malfunzionamenti. E’ questa intersezione fra uomo e macchina che è al centro del mio interesse.     

[1] Rajih, E., Tholomier, C., Cormier, B., Samouëlian, V., Warkus, T., Liberman, M., … & Valdivieso, R. (2017). Error reporting from the da Vinci surgical system in robotic surgery: A Canadian multispecialty experience at a single academic centre. Canadian Urological Association Journal11(5), E197.

Ti sei sempre occupato dell’avanguardia dell’user experience e di temi diciamo di nicchia. Come ti vedono i colleghi?

Spero bene, certo non è sempre facile comprendersi quando si è in mezzo a differenti comunità da quella psicologica, a quella dell’interazione utente tecnologia ed ergonomica a quella medica, per cui faccio spesso enormi sforzi per farmi comprendere e per comprendere terminologie che sono simili ma con significati e sfumature diverse a seconda dell’interlocutore e del suo campo. Anche pubblicare i risultati diventa spesso un esercizio complesso, quando si è in mezzo a diverse comunità e ci si occupa di temi che sono nuovi, o poco conosciuti in una specifica disciplina ma con un po’ di sforzo ci si riesce.   

Se senti il peso della solitudine oppure prevale la curiosità su temi tutti da esplorare. (ovviamente penso anche alle differenze tra Italia e Inghilterra e al mondo dell’accademia che è completamente diverso)

Non sento il peso della solitudine, certo dopo tanti anni all’estero prima nel Regno Unito ed ora nei Paesi Bassi, l’Italia e le sue bellezze mancano, un po’ meno le sue sicure incertezze a livello di società; ma dal punto di vista lavorativo ho costruito negli anni un solido network di amici e colleghi con cui interagisco costantemente e con cui porto avanti temi sempre interessanti, potendo permettermi di vedere innovazioni e idee sempre molto avanzate.

Quali sono i temi caldi del prossimo futuro a cui pensi bisogna stare attenti?

Sicuramente l’integrazione dell’AI nelle nostre società, che non è solo un tema tecnologico ma anche e soprattutto sociale, quale sarà l’impatto a livello individuale e collettivo non è solo un tema legato alla qualità delle tecnologie ma anche al quadro normativo che si sta già costruendo a livello Europeo.

Inoltre, la diffusione sempre più massiccia di realtà aumentata e strumenti di realtà virtuale al grande pubblico, che può avere effetti molto positivi ma anche negativi sulla psiche e che devono essere anticipati e mitigati. In questo contesto è necessario cominciare a parlare di design responsabile, nel senso che cerca di anticipare e mitigare a priori gli effetti negativi di una tecnologia.

E per finire le ultime 3 domande più leggere.

Consiglia un libro

Donald Hoffman: The Case Against Reality: Why evolution hid the truth from our eyes.

Consiglia un brano musicale o un cd

il testamento di Tito (De André ovviamente nella versione PFM).

Consiglia un film

Memento di Christopher Nolan.

Simone Borsci al WUD Roma 2020

Per chi vuole conoscere meglio Simone Borsci è possibile seguire i suoi interventi al WUD Roma 2020 (non più disponibili).

Il primo sarà un caso di studio su Dark patterns e dispositivi medicali. Mentre il secondo intervento di Simone Borsci sarà un Keynote con Katy Arnold, Head of User Research, The Home Office Gov UK su Inclusione: oltre i miti e le leggende.

Dark patterns e dispositivi medicali

I professionisti suggeriscono che la fiducia verso i sistemi (TTS) potrebbe essere modellata dalla progettazione. Per esempio: un prodotto che appare (anche prima dell’uso) utilizzabile e utile dovrebbe generare un alto livello di TTS post-utilizzo;
prodotti esteticamente gradevoli possono influenzare le persone prima dell’uso della sintesi vocale, ovvero le persone tendono a fidarsi del prodotto dal design estetico più che del prodotto meno piacevole. I produttori possono progettare la fiducia come parte dell’esperienza con un prodotto anche prima che gli utenti finali inizino a utilizzare la loro tecnologia o servizio comunicando strategicamente e rendendo visibili e riconoscibili alcune caratteristiche o elementi del design rispetto ad altre (meno attraenti) caratteristiche.


Come conseguenza delle tecniche di progettazione e comunicazione, gli utenti possono essere attratti dall’acquisto di un prodotto prima del suo utilizzo perché ritengono che il sistema sia ben progettato, affidabile e dotato di funzionalità in linea con le loro esigenze, anche quando questo sistema non è affidabile .
Questo lato oscuro della fiducia sarà al centro di questo discorso. Basandosi sugli studi attuali sulla fiducia, verrà proposta una definizione di TTS per colmare il concetto di fiducia ed esperienza. Inoltre, saranno presentati i dati preliminari di uno studio internazionale in corso sulla fiducia nei confronti dei dispositivi sanitari per uso domestico per evidenziare l’importanza della fiducia prima dell’uso di strumenti ad alto rischio selezionati e gestiti da utenti laici.

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