Come si sta in azienda? Quali sono gli aspetti fondamentali per sentirsi a proprio agio? Come si costruiscono relazioni positive con colleghi e superiori? Qual è l’equilibrio ideale tra autonomia e lavoro di squadra? Come affrontare l’irrazionalità di certi meccanismi aziendali?

Ogni tanto i social offrono spunti di riflessione che vanno oltre il contenuto effimero e diventano veri e propri saggi sulla vita lavorativa, sull’interazione umana e sull’evoluzione personale. Questo testo, scritto da Alessio Ricco, rappresenta uno di quei rari momenti in cui l’esperienza personale si intreccia con insegnamenti più generali.

La sua prospettiva, maturata nel corso degli anni, è una testimonianza di quanto il tempo, gli errori e un pizzico di umiltà possano trasformare l’approccio alla leadership, al lavoro di squadra e alla gestione dei conflitti.

Sono anni che mi occupo di gestire teams (locali e remoti, nazionali e internazionali, cross functional e pure cross dresser!) e il mio approccio è notevolmente cambiato (leggasi: migliorato) negli anni. Merito dell’esperienza, errori, vecchiaia, saggezza, rincoglionimento senile, fate voi.

Circa 15 anni fa spaccai la tastiera di uno sviluppatore che nonostante lo avessi avvisato di non farlo, mise in produzione un sistema di pagamento sbagliato (era il servizio di test). Era la goccia che aveva fatto traboccare un vaso pieno di errori, imprecisioni, sciatteria di questo sviluppatore che scriveva codice con lo stesso entusiasmo di chi è condannato ai lavori forzati.

Ma pure io, alla fine mi chiesi: ma a me chi me lo fa fare di incazzarmi così tanto?

Un po’ di tempo fa osservai una discussione nel mio team. Durante le feste, il codice non va in produzione perché deve essere sottoposto ad una speciale autorizzazione. Se il codice gira in un ambiente di sviluppo invece non serve alcuna autorizzazione. Il problema è che ci sono script che girano in un ambiente di sviluppo che modificano tabelle su database accessibili anche dagli ambienti di produzione (eh lo so, la vita mica è facile e le aziende sono piene di architetture e infrastrutture incollate con il nastro adesivo: è l’effetto collaterale di un certo modo di” produrre valore” e si chiama “debito tecnico”).

Morale della favola la discussione si è divisa tra chi voleva sottoporre questo codice ad autorizzazione per essere pubblicato e chi, come l’autore (del codice), si rifiutava di passare per il processo di autorizzazione perché era sicuro che non ci sarebbero stati effetti collaterali.

La discussione ha preso subito toni personali, come se il mettere in dubbio quello che era una sua sicurezza fosse stato un affronto, l’ennesimo boccone amaro da mandare giù. In questo caso, se ci sono dei dubbi, delle ambiguità, molto meglio chiedere una autorizzazione. E il perché è semplice:

  • Se lavori in una azienda, lavori per l’azienda. Quindi prima di tutto devi pensare a quali sono i benefici vs i rischi di quello che stai facendo. L’avere ragione viene dopo, molto dopo
  • Se lavori in un team e non sei il team leader, devi fare quello che il team leader ti dice di fare. Perché lui ha la responsabilità, non tu. Se qualcosa va storto, quel qualcosa può avere ripercussioni su te, il tuo team, la tua leadership, l’azienda stessa. Per cui se ti si dice di fare una cosa, falla (magari chiedi perché, ma poi falla).
  • Non buttare mai le cose sul piano personale, quindi trova sempre un approccio professionale. Se fai una proposta e non viene accettata, fa parte del gioco. In una organizzazione ci sono tante conversazioni a cui non prendi parte, ci sono tante informazioni che non vengono condivise e quindi la tua visione del problema, dell’organizzazione, dell’infrastruttura di quell’accidente che ti pare potrebbe non essere completa o sufficiente. Per questo spesso le proposte non vengono accettate. Non perché sei scemo o stupido, ma semplicemente perché certe modifiche, certe decisioni, certe scelte non sono ritenute a torto o ragione opportune. E spesso nessuno è tenuto a spiegarti il razionale dietro certe decisioni, specie se lavori in una organizzazione tipo una banca o con migliaia di impiegati o milioni di clienti.
  • Mai porsi coi colleghi e superiori in contrapposizione. Cercare sempre il dialogo, soprattutto quando si è convinti di avere ragione e soprattutto accettare anche di avere ragione e perdere la partita. In una organizzazione complessa non si può dare retta a tutti quelli che pensano di avere ragione. È per questo che ci sono le gerarchie con conseguenti livelli di responsabilità e decisione. Nelle organizzazioni si parla tra colleghi e si parla soprattutto dei colleghi.
  • Se il tuo approccio non è collaborativo, se ogni cosa la prendi personalmente e se metti in secondo piano il problem solving e il bene dell’azienda solo per avere ragione tu, sei una spina nel fianco (o un dito al culo) per i tuoi colleghi e superiori. Prima o poi si verrà a sapere e nessuno ti vorrà nel suo team, soprattutto in ruoli di leadership o di decision making.
  • Ricordati che sei pagato per risolvere problemi. Se invece che risolvere problemi, crei problemi, ricordati che lavori insieme ad altri problem solver e qualcuno di loro risolverà il problema che tu sei diventato.
  • Trovatevi sempre un buon psicologo. Questo vale per tutti, me compreso.

Lezioni di crescita personale e professionale

Quello che è importante, forse, è il richiamo alla necessità di mantenere il focus sul bene collettivo anziché sulle proprie ragioni individuali.

Il lavoro in team, soprattutto in ambienti complessi, richiede una capacità di navigare tra le gerarchie e i processi, accettando che non tutto può essere spiegato o deciso in base alle proprie percezioni.

Questo atteggiamento collaborativo è fondamentale non solo per evitare conflitti, ma anche per costruire un ambiente di lavoro più sano e produttivo.

Saper stare in azienda con la mente

Il post si chiude con un consiglio che, pur nella sua apparente leggerezza, racchiude una verità importante: trovare un buon psicologo non è un segno di debolezza, ma una risorsa per affrontare le sfide della vita e del lavoro con maggiore lucidità.

Insomma un invito a riflettere sul nostro ruolo nelle organizzazioni e sulla responsabilità che abbiamo verso noi stessi e gli altri nel creare spazi di lavoro più rispettosi e collaborativi. Un promemoria, per tutti, di come crescere professionalmente significhi prima di tutto evolversi come persone.

Non sono un uomo aziendale

Leggendo questa testimonianza, dunque, non posso che condividere molti dei punti espressi. Tuttavia, devo ammettere che non mi sono mai sentito un “uomo aziendale.” La mia natura mi ha sempre spinto a cercare autonomia e a volermi assumere le responsabilità, senza delegarle o attribuirle ad altri.

Nel tempo, purtroppo, ho imparato che in molte realtà aziendali i successi vengono attribuiti ai vertici – il team leader, il direttore – mentre gli errori ricadono sui sottoposti. Ricordo ancora un direttore che si vantava di “saper farmi lavorare”, ignorando completamente che il mio impegno derivava dal mio entusiasmo, non certo dalle sue abilità gestionali.

È vero, ho spesso preteso razionalità, ignorando a volte l’irrazionalità intrinseca di certi meccanismi aziendali. Tuttavia, non ho mai sopportato l’incapacità di molti dirigenti di spiegare le proprie scelte. Sentirmi dire “si fa così e basta” o, peggio, assistere a comportamenti autoritari – come un “padroncino” che, sbattendo le mani sul tavolo, mi disse “a casa mia si fa come dico io” – mi ha sempre spinto a prendere le distanze.

Forse la chiave sta nel trovare un equilibrio tra autonomia e collaborazione, tra entusiasmo personale e dinamiche di gruppo, e nel creare contesti dove le persone non siano solo numeri o esecutori. Io ho sempre cercato di mettere le persone al centro, parte attiva e consapevole del processo.

Come si sta in azienda

Lavorare in azienda significa inserirsi in un contesto complesso fatto di relazioni, regole non scritte, responsabilità condivise e obiettivi comuni. Ma come si può realmente “stare” in azienda? Non si tratta solo di sopravvivere alle dinamiche quotidiane, ma di trovare un equilibrio che permetta di crescere professionalmente e, allo stesso tempo, mantenere la propria identità personale.

Adattarsi senza perdere se stessi

Una delle prime sfide che chi lavora in azienda si trova ad affrontare è il bilanciamento tra adattarsi alle regole del gioco e mantenere la propria integrità. Spesso si richiede di adeguarsi a procedure, gerarchie e culture aziendali che possono sembrare rigide o, talvolta, irrazionali. Questo è particolarmente vero quando ci si imbatte in direttive imposte senza spiegazioni, del tipo: “Si fa così e basta.”

Tuttavia, l’adattamento non deve significare annullamento. Stare in azienda significa anche imparare a negoziare, proporre idee, e quando necessario, dissentire in modo costruttivo. La capacità di conciliare il proprio entusiasmo e le proprie competenze con le necessità dell’organizzazione è spesso il segreto di una carriera soddisfacente.

Il peso della leadership e della responsabilità

Una delle dinamiche più comuni è la distribuzione del merito e delle colpe. Non è raro osservare situazioni in cui i successi vengono attribuiti ai vertici aziendali – team leader o direttori – mentre gli errori ricadono sui collaboratori. Questo crea frustrazione e demotivazione, soprattutto quando il lavoro è frutto di un impegno condiviso.

Un buon leader dovrebbe invece valorizzare il contributo di ciascun membro del team, riconoscendo meriti e assumendosi le proprie responsabilità nei momenti critici. Sfortunatamente, non tutti i dirigenti sono in grado di farlo. La mancanza di trasparenza e di spiegazioni nelle decisioni strategiche è spesso una delle cause principali di insoddisfazione tra i dipendenti.

La gestione del debito tecnico e delle infrastrutture fragili

In molte aziende, soprattutto in ambiti tecnologici, si scontrano quotidianamente con l’effetto collaterale di un certo modo di “produrre valore”: il debito tecnico. Questo termine descrive le conseguenze di decisioni prese per guadagnare tempo o ridurre i costi, ma che nel lungo periodo creano complicazioni.

Chi lavora in queste realtà deve imparare a muoversi tra infrastrutture fragili e sistemi che sembrano tenuti insieme con il nastro adesivo. La chiave è spesso nella capacità di collaborare con colleghi e dirigenti per trovare soluzioni sostenibili, pur consapevoli delle limitazioni strutturali.

Come affrontare l’irrazionalità delle dinamiche aziendali

Un errore comune è cercare di affrontare le dinamiche aziendali con eccessiva razionalità, ignorando l’irrazionalità intrinseca di certe situazioni. Le aziende sono fatte di persone, e le persone portano con sé emozioni, pregiudizi, ambizioni e paure.

È importante sviluppare empatia e capacità di ascolto per comprendere le motivazioni dietro determinati comportamenti. Questo non significa accettare passivamente decisioni sbagliate o comportamenti tossici, ma imparare a leggere tra le righe e a scegliere le battaglie giuste.

Trovare il proprio equilibrio

Stare in azienda non è mai semplice. Richiede flessibilità, resilienza e la capacità di trovare un equilibrio tra le proprie ambizioni personali e le necessità del gruppo. Significa anche riconoscere i propri limiti e sapere quando è il momento di andarsene, come nel caso di chi sceglie di lasciare un contesto troppo autoritario o poco stimolante.

Alla fine, ogni esperienza aziendale è un’occasione di crescita, sia quando si raggiungono grandi successi, sia quando ci si scontra con difficoltà. L’importante è imparare a navigare le complessità con consapevolezza, mantenendo intatto il proprio entusiasmo e la propria identità.

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