Architettura della comunicazione e Fotografia sono due discipline che hanno molto in comune. Degli elementi comuni ne ho parlato in un webinar per Architecta. La registrazione del video si trova nell’area riservato, disponibile per i soli soci.

Home work

Da qualche settimana abbiamo iniziato un progetto fotografico, Home WORK, in memoria di un nostro maestro di fotografia, Pasquale Pilato, che ci ha lasciato prematuramente. Nel ricordarlo, una nostra socia ha condiviso un messaggio in cui la invitava a progettare, ad usare la tecnica ma nel piegarla alla progettazione di una fotografia.

Accanto a questo progetto, durante la fase di lockdown, ci siamo incontrati online per arricchire il progetto. La prima lezione è stata sull’antropologia e fotografia, alla fine della quale mi è stato chiesto di introdurre l’architettura dell’informazione.

L’informazione

Federico Badaloni si pone alcune domande.

  • In che modo ne veniamo a conoscenza?
  • Siamo noi a trovarla?
  • È lei a trovare noi?
  • Come la utilizziamo? •
  • In che modo la produciamo?
  • Qual è il modo migliore per farlo?
  • Per chi farlo?
  • Per quali contesti?

Cos’è l’architettura dell’informazione

L’ architettura dell’informazione è la disciplina che si occupa di organizzare le informazioni all’interno di ecosistemi digitali e fisici. In particolar modo si occupa di mettere in relazione i contenuti per creare un determinato contesto e trasmettere un determinato senso.

E Luca Rosati precisa

Il ruolo dell’architettura dell’informazione è creare relazioni capaci di ricucire assieme i frammenti d’informazione (prodotti, servizi, esperienze), per restituire loro un contesto, una storia, un senso. 

Onlife manifesto

Ma perché questa necessità di organizzare le informazioni, oggi più che mai? E perché i frammenti di informazioni hanno spesso perso il loro senso e questo senso deve essere ricostruito?

Come architetti dell’informazioni diciamo da tempo che il mondo era cambiato. Oggi, nell’era coronavirus è evidente a tutti.

Veniva spiegato tutto molto chiaramente sull’Onlife manifesto di Luciano Floridi

L’ erosione dei confini tra il reale e il virtuale.

L’ erosione dei confini tra uomo, macchina, e natura.

Il rovesciamento della situazione nella sfera dell’informazione: dalla scarsità alla sovrabbondanza.

La transizione dal primato del soggetto al primato dell’interazione.

Sovrabbondanza informativa

Viviamo in un epoca di sovrabbondanza informativa. A volte ci intossichiamo di notizie e informazioni, non sempre quello che ascoltiamo ha un senso.

Sempre più chiaro è che la conoscenza ha un valore, raccogliere informazioni ha un costo, pensiamo a fact cheking, così come ha un costo non trovare le informazioni.

Progettazione

La progettazione dunque interviene ad organizzare e ordinare lo sviluppo di un lavoro. Lo facciamo incentrando il proprio lavoro sulle persone, per le persone e con le persone.

Luciano Floridi definisce il design, come la

concettualizzazione dei problemi e organizzazione della varietà di soluzioni ai problemi.

Facciamo ricerca, acquisiamo i dati, li analizziamo, li ordiniamo, li classifichiamo, creiamo categorie e li mettiamo in pratica, in struttura, in grafica.

Verifichiamo e ipotizziamo rispetto ai dati le possibili varianti, i punti critici e abbiamo una mappa da seguire.

L’architettura dell’informazione sta al centro di tutto questo, tra Utenti, che sono persone, che siamo noi, i contenuti e il contesto dove contenuti e persone si muovono.

Esempio pratici dove si realizza l’architettura dell’informazione sono il ponte di Rialto, Netflix e spotify. Ma anche su prodotti come lo swiffer.

Contesto

Se c’è un concetto dell’architettura dell’informazione che ho sempre amato è il contesto. L’organizzazione dell’informazione all’interno del contesto ne determina il senso.

Prendiamo due elementi, diciamo informativi, come l’elemento vegetale e l’elemento pietra.

se guardiamo un immagine di un deserto comprendiamo che l’rganizzazione naturale di questi due elementi ci rinvia il senso di un luogo disabitato.

Ma se questi due elementi sono roganizzati dall’uomo, oltre al fatto di renderci conto che non sono in una posizione della natura, ci possiamo persino rendere conto del luogo dove ci troviamo. E questa organizzazione rimanda anche ad una cultura, al modo di vivere, di roganizzarsi, che può essere la tradizione mediterranea, come la tradizione contadina.

Le persone al centro del contesto… e del progetto

Mettere le persone al centro del proprio progetto è un’idea che tutti hanno in testa. Se parliamo con un negoziante, un progettista, un architetto, un ingegnere, tutti ti diranno (anche sinceramente) che il loro progetto è fatto per le persone.

Peccato che la realizzazione poi non sempre, alla prova dei fatti, le persone utilizzano quel che ha in mente il progettista, seguendo strade completamente diverse,

Ora, al di là delle diciture o dei titoli, proviamo a fare qualcosa con le persone e cerchiamo di realizzare progetti che le persone poi utilizzeranno.

Relazione

La rete è un grafo dice Federico Badaloni

I grafi sono strutture matematiche discrete che rivestono interesse sia per la matematica che per un’ampia gamma di campi applicativi. In ambito matematico il loro studio, la teoria dei grafi, costituisce un’importante parte della combinatoria.

I grafi inoltre sono utilizzati in aree come topologia, teoria degli automi, funzioni speciali, geometria dei poliedri, algebre di Lie.

I grafi si incontrano in vari capitoli dell’informatica (ad esempio per schematizzare programmi, circuiti, reti di computer, mappe di siti).

Essi inoltre sono alla base di modelli di sistemi e processi studiati nell’ingegneria, nella chimica, nella biologia molecolare, nella ricerca operativa, nella organizzazione aziendale, nella geografia (sistemi fluviali, reti stradali, trasporti), nella linguistica strutturale, nella storia (alberi genealogici, filologia dei testi).

Ma se aggiungiamo elementi informativi diventa anche altro.

Se uniamo i puntini creaiamo figure e immagini complesse.

Comprensione

Tra gli architetti dell’informazione è noto l’esempio di Federico badaloni che spiega e racconta la facciata del duomo di Notre Dame, dove ciascun elemento ha una relazione con l’altro. Ed è grazie a questa relazione che tutti gli elmenti trasmettono un messaggio. Ed è attraverso la lettura di ciascun elemento che comprendiamo il messaggio.

L’architetto, l’artista si sono inventati un modo per trasmettere questo messaggio su una facciata.

E così accade anche nella fotografia, quando ciascun elemento al suo interno rimandano ad un messaggio che viene raccolto dallo spettatore.

Ed ancora accade che anche diverse fotografie rimandano a legami che fanno parte del nostro immaginario. Ci piace una foto non solo perché è bella, o attira la nostra attenzione. Ma attira la nostra attenzione perché rimanda a qualcosa che è già in noi.

La camera chiara

Prima di redigere questa introduzione ho avuto il piacere di confrontarmi con Luca Rosati che mi ha consigliato la lettura del libro La camera chiara di Rolnad Barthes.

Ogni volta che guardiamo una fotografia ci troviamo di fronte:

lo studium cioè la realtà sociale, quello che è rappresentato nell’immagine, vestiti, strade, nel caso di Barthes, alcune immagini di sua mamma. Lo studium è il contenuto della foto, gli elementi che la compongono.
il punctum, ciò che mi coinvolge in una fotografia, la ferita che suscita in me. È il momento in cui l’immagine mi guarda e agisce sulla mia memoria, agisce su di me.

Nel caso di Barthes, quella fotografia nello specifico lo colpisce. La mamma “bambina” di quella particolare immagine.

Nella fotografia del Giardino d’Inverno: quell’aria di “innocenza assoluta” è ciò che permette che avvenga il riconoscimento da parte di Barthes. Non c’entra la somiglianza e nemmeno la realtà contenuta nell’immagine.

Quindi in ogni fotografia abbiamo la realtà (ciò che vediamo) e la verità, l’essenza, quindi ciò che ognuno sente davanti a quella immagine.

Ma il sentire della foto del giardino d’inverno, è per noi tutti solo la foto di una bambina qualsiasi. Non ci direbbe probabilmente nulla, non ne saremmo coinvolti quanto lui. Il punctum per Barthes non è il medesimo per me o voi.

Le foto dicono/parlano a chi riconosce in qualche modo soggetti, a chi sente un particolare della foto, molto vicino a sé.

Nel libro la foto è solo descritta, non la vedremo mai. Forse perché, anche se mi ha fatto commuovere la descrizione di Barthes, a noi non direbbe assolutamente nulla. E lui lo sapeva bene.

Studium e punctum

L’opera in questione contiene digressioni e riflessioni sull’arte della fotografia. L’autore prende in considerazione varie fotografie, scattate da diversi artisti tra cui Richard AvedonRobert MapplethorpeNadar e Niépce, e commentandole trae spunti di riflessione sulla fotografia. Barthes distingue tre elementi fondamentali dell’arte fotografica:

  • L’operator ovvero l’operatore, colui che fa la foto.
  • Lo spectator ossia il fruitore, lo spettatore.
  • Lo spectrum vale a dire il soggetto immortalato.

L’autore distingue inoltre due modi che ha lo spectator di fruire una fotografia:

  • Lo studium è l’aspetto razionale e si manifesta quando il fruitore si pone delle domande sulle informazioni che la foto gli fornisce (costumi, usi, aspetti).
  • Il punctum, è invece l’aspetto emotivo, ove lo spettatore viene irrazionalmente colpito da un dettaglio particolare della foto.

Il saggio La camera chiara è un testo fondamentale anche nell’indagine sul rapporto tra realtà e immagine, comunicazione e rappresentazione fotografica.

Il punctum insubordinato

E che cosa dunque dice in quelle pagine il guru del fotografico? Che il punctum non si cerca: ti viene a cercare. Che non si spiega: è lui che spiega noi.

La cosa che cerchiamo in una foto, che spiega la foto, per Barthes è lo studium. Che è il significato generale, premeditato e predisposto, potremmo dire il messaggio intenzionale che una fotografia ha da trasmetterci, e che “appartiene all’ordine del to like” (però, che intuizione preveggente!) più che del to love.

Attraverso lo studium, riassumo, il lettore entra in una relazione seria, educata, razionale col fotografo, discute con lui, ascolta le sue ragioni, si fa un’opinione. Lo studium educa.

Il punctum no, anzi è quella cosa maleducata che irrompe non invitata, distrugge tutto questo, dispettosa, insubordinata: punctum cioè “puntura, piccolo buco, macchiolina, piccolo taglio”. Non ce l’ha messo nessuno, eppure aspetta me, cerca proprio me e solo me, è un supplemento della fotografia eppure è già lì dentro, silente, in agguato per pungermi e per ghermirmi.

Quindi, prima regola, il punctum non ce lo metti tu, caro fotografo (Barthes li chiama operator). Mai. Se ce lo metti, è studium. Risparmiati la fatica di fabbricare puncti per far colpo su di me, il tuo lettore (Barthes mi chiama spectator). Se c’è un punctum per me, in una tua foto, c’è sgusciato a tua insaputa. E’ magari uno di quei dettagli che ti sono entrati di soppiatto nell’inquadratura mentre miravi a catturarne altri.

Uno studium bene o male in una fotografia c’è sempre: si fanno sempre foto all’interno di una cultura e con una consapevole intenzione. Il punctum no. Può non esserci. Spesso non c’è. Quasi sempre non c’è.

Anche perché il punctum, ripetoaspetta me, solo me. Non esiste un punctum sociale o condivisibile. Perché quella punturina è la scossa elettrica fra il mio sapere, il mio vissuto, e la casualità di apparenze visuali, prelevate da te, caro fotografo, inconsapevolmente.

Non c’è quindi alcun punctum nelle foto scioccanti, nelle foto violente dove l’intensità dello studium spadroneggia. Non c’è punctum nella foto pornografica, ingenua, “unaria” e autosufficiente. Non c’è punctum, arriva a dire Barthes, neppure nella foto di reportage che viene “recepita d’un sol colpo”.

Il punctum, dice Barthes ed è la migliore definizione che ne dà, ma anche la più ignorata, è “una nuova foto”. Una fotografia che vedo solo io, spectator, che mette in ombra quella che vedono tutti e quella che volevi farmi vedere tu, operator.

È la mia foto dentro la tua. Così personale che, quando tocca a Barthes, la sua foto pungente (la famosa, forse inesistente fotografia della madre nel giardino d’inverno) non ce la fa neppure vedere.

Il punctum è pericoloso, insubordinato, un truffatore, un ladro d’immagini.

Forse per questo ti sta segretamente antipatico, caro fotografo, e cerchi di mettergli il guinzaglio.

A pensarci bene, non è poi così superato e inutile, questo pungiglione di zanzara.

Bibliografia

Architettura della comunicazione, Federico Badaloni, Il MIO Libro – https://amzn.to/2zETvyg

Architettura dell’informazione, Luca Rosati, Apogeo – https://amzn.to/3e9MLHq

Content design, Nicola Bonora, Apogeo – https://amzn.to/2WyVDAr

Understanding Context, Andrew Hinton – https://amzn.to/3bAFMG3

Progettazione funzionale, Federico Badaloni https://amzn.to/363qKaH

Architettura dell’informazione per il World Wide Web, Louis Rosenfeld e Peter Morville https://amzn.to/2ToIRCT

The Onlife Manifesto, Luciano Floridi, Springer – https://amzn.to/2Z3r1ZD