Il tema dell’OnLife Manifesto è centrale per la comprensione del nostro mondo e della relazione tra tecnologia e società.

Come architetto dell’informazione rifletto spesso su quale sia l’architettura dell’internet che navigo, quale architettura dell’informazione vorrei navigare e quale voglio costruire.

Cos’è l’Onlife manifesto?

L’Onlife Manifesto è un documento che riflette sul modo in cui le tecnologie digitali stanno influenzando e trasformando la nostra vita quotidiana, la società e la cultura in generale.

Il manifesto è stato redatto da un gruppo di esperti provenienti da diverse discipline, tra cui filosofia, scienze sociali, tecnologia, arte e diritto, e pubblicato nel 2013 dalla European Commission’s Digital Futures Task Force.

L’Onlife Manifesto sostiene che le tecnologie digitali hanno una grande influenza sulla nostra vita, ma che spesso questa influenza non viene compresa a fondo e gestita in modo adeguato. Il manifesto propone una visione più consapevole e critica della tecnologia, in cui si cerca di bilanciare i benefici e i rischi delle tecnologie digitali, proteggere i diritti umani, promuovere la diversità culturale e sviluppare una società inclusiva.

Onlife manifesto principi

Il manifesto presenta una serie di principi fondamentali, tra cui la centralità dell’essere umano, la necessità di proteggere la privacy e i diritti digitali, la promozione della conoscenza e della cultura come beni pubblici, la necessità di una maggiore trasparenza e responsabilità da parte dei governi e delle aziende, e la necessità di promuovere l’innovazione responsabile e sostenibile.

Possiamo dire che l’Onlife Manifesto rappresenta una chiamata alla riflessione critica sulla tecnologia e sul suo impatto sulla società, e cerca di promuovere un approccio equilibrato e consapevole alla sua evoluzione e alla sua gestione.

Contesto, pubblico e privato, attenzione

Tanto è vero che qualche giorno fa me lo chiedevo pure su twitter

Da architetto dell’informazione mi preme la questione etica dell’internet. Quale web vogliamo costruire?

Mi ha risposto Eugenio Menichella, antropologo e architetto dell’informazione attento al tema dell’etica.

perché ti limiti a internet? Quali relazioni vogliamo costruire nella realtà!

Nessun limite. Rispondo. Ne dobbiamo parlare e mi sa anche scrivere. Internet è parte della nostra realtà.

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Etica e design dell’informazione

Il tema è ampio, trasversale. Colpisce e rimanda a diversi campi, a diversi ragionamenti, a diversi argomenti. Ma il tema è attuale per gli addetti all’user experience design ed ognuno lo declina secondo la propria lente.

Su questo blog ne avevo già parlato nel mio articolo sull’Assistenza vocale etica con riferimenti alla questione di genere e alle scelte etiche degli algoritmi.

Progettare è un atto politico. Le decisioni del designer generano cambiamento e trasformazione dell’ordine sociale.

Il richiamo all’attenzione. Le scelte del design possono compensare le debolezze e mancanze degli utenti, oppure sfruttarle per influenzarne i comportamenti e favorire le aziende che lo utilizzano

Nell’era post-digitale, usare o progettare in modo scorretto le grandi basi di conoscenze può causare danni irreversibili.

Scrive Resmini:

Nell’era post-digitale, usare o progettare in modo scorretto le grandi basi di conoscenze può causare danni irreversibili.

Il desiderio di “nuovo” ha messo in secondo piano la portata del cambiamento di questi ultimi venti anni e, presi a discutere se sia meglio iOS o Android, non abbiamo colto pienamente l’arrivo del post- digitale.

Quale società vogliamo costruire? Quale futuro ci auguriamo? Di quali valori ci circondiamo? Quale messaggio o segno vogliamo lasciare?

Sono domande che riguardano tutti.

Il lavoro del futuro Luca De Biase. Un riassunto

Il lavoro come identità sociale, fatica, percorso obbligato per realizzare le aspirazioni personali, famigliari e comunitarie. Il lavoro come espressione di sé e principale porta di accesso all’indipendenza economica. Il lavoro come punto di incontro più problematico tra la speranza e la paura del futuro. Nella grande trasformazione tecnologica ed economica di questi anni, sul lavoro del futuro si addensa in effetti una nebbia che occorre diradare. Verso quali studi conviene indirizzare i ragazzi? Come ci si aggiorna per mantenere vive le proprie opportunità professionali? Come ci si difende dalle ingiustizie? Come si fa valere il merito e l’integrità? Quali politiche si possono chiedere a governanti che vogliano risolvere i problemi? L’incertezza in materia è paralizzante, e il desiderio di risposte è pari all’urgenza delle domande esistenziali. «Il lavoro del futuro» rilancia e approfondisce il risultato di un’inchiesta sviluppata per «Il Sole 24 Ore»: un centinaio di interviste e alcune migliaia di chilometri per una manciata di risposte.

“Il lavoro del futuro” di Luca De Biase è un saggio che esplora le trasformazioni che l’automazione e la tecnologia stanno apportando al mondo del lavoro e alle professioni.

Il libro presenta un’analisi delle principali tendenze tecnologiche che stanno modificando il mondo del lavoro, come l’intelligenza artificiale, la robotica, la blockchain e la realtà virtuale. De Biase sostiene che queste tecnologie stanno creando nuove opportunità e sfide per i lavoratori e le imprese, ma che il futuro del lavoro dipenderà principalmente dalla capacità degli individui e delle istituzioni di adattarsi a queste trasformazioni.

De Biase esplora anche il tema della formazione e dell’educazione, sostenendo che è fondamentale preparare le nuove generazioni a un mondo del lavoro sempre più tecnologico e complesso. In particolare, l’autore sostiene che è importante sviluppare le competenze digitali, cognitive e relazionali dei lavoratori, e che la formazione dovrebbe essere continua e mirata a soddisfare le esigenze del mercato del lavoro.

Il saggio presenta anche una riflessione sul ruolo dell’imprenditorialità e dell’innovazione nel mondo del lavoro del futuro. De Biase sostiene che l’innovazione e la creazione di nuove imprese possono rappresentare un’opportunità per creare nuovi posti di lavoro e sviluppare nuove competenze e conoscenze.

In sintesi, “Il lavoro del futuro” di Luca De Biase è un saggio che analizza le tendenze tecnologiche che stanno trasformando il mondo del lavoro e le sfide e le opportunità che queste trasformazioni creano per i lavoratori e le imprese. Il libro sottolinea l’importanza della formazione e dell’educazione per preparare le nuove generazioni al mondo del lavoro tecnologico, e riflette sul ruolo dell’imprenditorialità e dell’innovazione nel creare nuove opportunità lavorative.

Un battito d’ali

Recenti fatti di cronaca che riguardano (anche) la sicurezza, il cyberbullismo, il diritto alla privacy o il diritto all’oblio, mi hanno colpito e rattristato.  Su quanto accaduto sono state dette tante parole ma uno dei migliori articoli che ho letto è stato un artico di Daniele Chieffi La colpa della farfalla che batte le ali. Nello specifico, l’articolo parla del suicidio di una donna che non ha sopportato il peso della dimensione OnLife.

So che non sarà questa pagina a smuovere qualcosa. So che il tema è complesso. Personalità molto più riconosciute di me non hanno smosso più di tanto. Ma non importa. I miei due centesimi di opinione li spendo qui. Il mio battito di ali è questo blog.

Verso un’ecologia della comunicazione

Alberto Raffaele Ventura scrive sui social il 25 gennaio 2024

Una ristoratrice si sarebbe suicidata dopo due giorni di shitstorm. Non è la prima volta che il combinato disposto tra social media e media tradizionali porta a un esito tragico: accadde anche un anno fa, dopo un servizio delle Iene. È accaduto in casi di revenge porn viralizzato.

Visto che non impariamo mai, l’unica risposta alla gogna di ieri sarà la contro-gogna di domani. Perché se c’è una vittima ci deve essere anche un colpevole. Ma che facciamo quando il colpevole è distribuito, frammentato, vaporizzato, polverizzato? Quando il male è risultato di tante piccole azioni tutto sommato innocenti? Quando magari un commentino, una condivisione, un like, uno sguardo lo hai dato anche tu? E avevi diritto di farlo, forse persino ragione.

Il problema è quello che gli ingegneri chiamano il carico critico, gli economisti effetto farfalla, i chimici reazione a catena, i fisici effetto domino… Insomma la responsabilità cumulativa determinata dall’accumulo di singole azioni che, prese individualmente, possono sembrare insignificanti, ma che collettivamente hanno un impatto significativo. Un problema essenzialmente ecologico, che qui si applica anche alla comunicazione.

I filosofi morali si chiedono: come si distribuisce la colpa? Quanti granelli di sabbia ci vogliono per fare un mucchio? Più urgente è capire come possiamo spezzare le reazioni a catena prima dell’esplosione, dove e come intervenire per isolare il contagio.

In Francia, il processo per l’omicidio dell’insegnante Samuel Paty ha esaminato gli anelli della catena di microscopici eventi che – passando dalla rete – ha portato all’esito tragico, arrivando anche ad alcune condanne.
Meno grave, nei giorni scorsi si è discusso della reazione di un’intellettuale sottoposta a un fuoco di fila di critiche. Critiche legittime – ci torneremo quando le acque si saranno calmate – ma che hanno posto nuovamente la questione di cosa fa alla pazienza umana l’effetto combinato di tante piccole critiche.

Indubbiamente i politici, le celebrità e gli intellettuali pubblici dovrebbero essere disposti ad accettare questi rischi. Ma dove inizia la celebrità? E cosa succede quando una persona comune finisce in questo ingranaggio?

Col tempo ci doteremo di riflessi di protezione e criteri di responsabilità. Capiremo che è sempre opportuno commisurare gli effetti potenziali di quello che comunichiamo con i benefici che ne può trarre la società, e che spesso semplicemente non ne vale la pena. Sapremo che chi è dall’altra parte dello schermo non è un amico con cui scherzare o un nemico da abbattere; potrebbe anche essere una persona fragile che sta attraversando un brutto momento. Chi ha potere e visibilità rifletterà con maggiore attenzione prima di usare il suo potere e la sua visibilità contro chi non ne ha.

E poco a poco, si spera, svilupperemo l’ecologia della comunicazione che ancora ci manca.

Il peso della farfalla di Erri De Luca, riassunto

Il peso della farfalla” è un breve racconto scritto dall’autore italiano Erri De Luca, pubblicato per la prima volta nel 2009. La storia è ambientata nelle montagne italiane e narra il confronto tra un bracconiere e un capriolo, in uno struggente racconto di lotta per la sopravvivenza e rispetto per la natura.

Il protagonista, Felice, è un uomo di mezza età che vive in un villaggio di montagna. La sua vita è segnata dalla solitudine, e trascorre le sue giornate tra il lavoro nei campi e la sua attività preferita: la caccia illegale. Felice è bravo in quello che fa, ed è diventato un esperto nel catturare animali senza farsi scoprire dalle autorità.

Un giorno, mentre è in cerca di prede, Felice si imbatte in un esemplare di capriolo mai visto prima: un maschio anziano con un paio di corna eccezionali, che lo affascina e lo ossessiona. Decide di catturarlo, ma il capriolo dimostra di essere un avversario degno e abile nel sfuggire ai suoi tentativi.

Nel corso della storia, la relazione tra Felice e il capriolo si evolve: da un semplice desiderio di cattura, l’incontro diventa una sfida personale e un’occasione di riflessione sulla vita e il ruolo dell’uomo nella natura. Felice inizia a provare un profondo rispetto per l’animale, che rappresenta la forza e la bellezza selvaggia della montagna.

Parallelamente alla lotta tra Felice e il capriolo, il racconto introduce una farfalla, la cui vita è destinata a incrociarsi con quella dei due protagonisti. La farfalla, benché fragile, riesce a sfuggire alle insidie della natura e a trovare il suo posto nel delicato equilibrio dell’ecosistema.

Il racconto culmina nel momento in cui Felice riesce finalmente a confrontarsi faccia a faccia con il capriolo. In quella situazione, si rende conto dell’inutilità della violenza e della caccia, e decide di lasciar andare l’animale, dimostrando il suo rispetto per la natura e la vita.

“Il peso della farfalla” è un’opera che riflette sul rapporto tra l’uomo e la natura, sulla ricerca di un equilibrio tra desiderio di dominio e rispetto per l’ambiente. Con uno stile intenso e poetico, Erri De Luca mette in scena una storia di sopravvivenza, umanità e redenzione.

Onlife Manifesto

Riprendo nuovamente l’Onlife manifesto, esseri umani nell’era dell’iperconnessione e voglio chiarire perché lo ritengo un testo da cui si può e si deve partire per ragionare.

L’Onlife manifesto è un testo, scritto nel 2012, a cura del professore Luciano Floridi, docente di logica all’Università di Oxford. Nel 2015 è stato ospite al IX Summit dell’architettura dell’informazione italiana. Il Manifesto si dichiara essere (solo) l’inizio di una riflessione collettiva. Il testo è un po’ datato, forse. Ed io ci sono arrivato pure in ritardo. Ma per chi non lo conoscesse, ne riconoscerà la lungimiranza degli argomenti e delle parole.

Qual è l’impatto delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) sulla condizione umana?

Il testo si può scaricare gratuitamente dal sito della Springer. Il lavoro è composto dai contributi di autorevoli studiosi: Stefana Broadbent, Nicole Dewandre, Charles Ess, Jean-Gabriel Ganascia, Mireille Hildebrandt, Yiannis Laouris, Claire Lobet-Maris, Sarah Oates, Ugo Pagallo, Judith Simon, May Thorseth e Peter-Paul Verbeek.

L’incessante espandersi delle TIC scuote alle fondamenta i tradizionali quadri di riferimento concettuali attraverso le
seguenti trasformazioni:
a. l’ erosione dei confini tra il reale e il virtuale,
b. l’ erosione dei confini tra uomo, macchina, e natura,
c. il rovesciamento della situazione nella sfera dell’informazione: dalla scarsità alla sovrabbondanza,
d. la transizione dal primato del soggetto al primato dell’interazione.

Ecosistema

L’erosione dei confini tra il reale e il virtuale oggi, possiamo dire, è pienamente compiuta. Il virtuale oggi non esiste. Il virtuale è il reale. Non esiste e, a dire il vero, non è mai esistita una Second Life dove costruire il proprio mondo diverso da quello reale. L’internet non è altro da noi, non è un fuori dalle nostre case o dalle nostre famiglie. E non è neppure un dentro a qualcosa dove andare e poi uscire. L’internet siamo noi. Tanto più che ce ne portiamo un pezzo in tasca tutti i giorni. La nostra quotidianità si svolge in un ecosistema tra la fisicità e il digitale dove l’uno non esclude l’altra. Le nostre case sono diventate case invisibili.

Viviamo in un OnLife continuo. Di questo dobbiamo avere consapevolezza!

Scrive ancora Andrea Resmini su Nova:

Il digitale esiste, è qui, e produce i suoi effetti.

Il digitale è reale, indistinguibile e inseparabile da tutto il resto: spesso banale, spesso dato per scontato, sempre pervasivo. Tutto, luoghi, corpi, momenti, è permeato di informazione. Quello che ancora manca è la maturità di un diverso approccio etico che riconosca che al di là dei minimi ergonomici, legali, o dettati dalle esigenze di business, al di là dell’app o del sito, progettare e maneggiare informazione malamente o sconsideratamente è probabilmente peggio che inquinare il Golfo del Messico.

Il contesto

Scrive Andrew Hinton nel suo magistrale libro Understanding Context

Understanding Context is, after all, about how we perceive context. We must understand “the relationships between the elements of [our] environment.”

Noi dobbiamo capire le relazioni che ci sono tra gli elementi del nostro ambiente. Elementi che possono essere cose, oggetti, ma che oggi, possono anche essere persone, uomini e donne, fatti di carne, sangue e ossa.

Dobbiamo!

Architettare relazioni nella realtà, così come nel digitale non fa più nessuna differenza.

Architetture delle relazioni

Luca Rosati, già qualche anno fa, nell’anticipare il tema del Summit diretto da Federico Badaloni dal titolo “Architettura delle relazioni” segnalava un articolo di Carlo Rovelli. Ci si chiedeva

Di cosa è fatto il mondo?

Il punto unificante sembra essere il fatto che la trama del mondo non viene dagli oggetti, ma dalle relazioni fra gli oggetti, e dai processi. L’idea di “oggetto”, di “sostanza”, così cara alla metafisica occidentale, si sta sciogliendo in rivoli diversi, messa in questione da discipline che vanno dalla fisica alle scienze che studiano il cervello, dalla filosofia della scienza alla biologia. Pensare il mondo come un insieme di oggetti sembra funzionare sempre meno.

Andrea Resmini, scrive, sul giornale diretto da Luca De Biase:

Questi ultimi dieci-quindici anni hanno visto internet diventare il principale luogo di discussione sociale e politica, un nodo centrale di ogni servizio fornito ai cittadini, e il punto di partenza per servizi, da Uber a Netflix a Snapchat, che stanno cambiando come pensiamo il nostro essere sociali.

Stiamo cambiando come pensiamo il nostro essere sociali. Concetti, come amicizia, reazione, espressione dei nostri sentimenti, si stanno trasformando e acquisiscono nuove declinazioni, portano a nuovi rimandi. Più ricchi o più poveri, non importa. Stanno subendo mutamenti epocali.

Condivisione

Milioni di persone, ogni giorno, svolgono attività più o meno personali, più o meno pubbliche, o più o meno private, che si condividono quasi sempre in tempo reale. Colazioni, baci e abbracci, pranzi, eventi grandi e piccoli, primi fidanzamenti, tradimenti. Tutti condividono/condividiamo qualcosa. Ci ritroviamo sui Social, così come nelle piattaforme di messaggistica, per condividere pensieri, parole, azioni. Tutto il nostro essere e avere condivisibile è condiviso. Le ragioni possono essere le più svariate. Non importa. Il gesto, consapevole o inconsapevole, è sempre lo stesso. E la linea che separa la consapevolezza dall’inconsapevolezza è sempre più sottile e permeabile. Ad una maggiore condivisione sui social, infatti, non corrisponde un mondo migliore, una solidarietà crescente tra individui o un’accoglienza sempre più diffusa.

Condividere il contesto

Quando condividiamo un file, una foto, un’informazione, un nostro momento, una clip, sarebbe fondamentale (poter) condividere anche il contesto nella quale è stata “commessa” l’azione. In quale situazione avviene una data azione? Qual è o qual era la relazione che gli attori dell’azione avevano e hanno tra di loro? Qual è la relazione che noi abbiamo rispetto agli attori in essere? In quale contesto, noi stessi, partecipiamo a quello che vediamo o ascoltiamo? Da quale pulpito siamo testimoni di ciò che gli altri condividono? Qual è il nostro ruolo di attori in quel contesto? Cosa possiamo fare e cosa facciamo in relazione al documento che ci arriva?

In una pagina web, quale contesto ci rimandano i link presenti nel testo? Quali relazioni ritroviamo? E possiamo rifare ancora una volta le stesse domande?

Comprendere le relazioni è un dovere di tutti, nella vita reale, come sul web. Le relazioni ci definiscono. Chi siamo? Chi stiamo diventando?

Pubblico e privato

Nell’ Onlife Manifesto si afferma

La distinzione pubblico-privato è stata spesso intesa in termini spaziali e oppositivi: lo spazio domestico contrapposto all’agorà, la società commerciale contrapposta all’istituzione pubblica, la collezione privata contrapposta alla biblioteca pubblica e così via. La diffusione delle TIC ha rapidamente
fatto sfumare questa distinzione quando viene espressa in termini spaziali e dicotomici.

Internet costituisce una rilevante estensione dello spazio pubblico, anche quando è operato e posseduto da soggetti privati. Concetti come pubblico frammentato, spazi terzi e beni comuni, come pure il sempre maggiore interesse per l’uso a scapito della proprietà, sono tutti fattori che rimettono in questione il modo in cui oggi è concepita la distinzione tra pubblico e privato.

La tragedia

Anni fa, nel mio paese di origine, un tradimento divenne di dominio pubblico attraverso lo scambio di file P2P. Non esistevano ancora le piattaforme di messaggistica. Il fidanzato di Belen Rodrigez ha reso pubblico una notte di amore tra i due fidanzati. Uomini e donne che fanno sesso con i propri compagni condividono le immagini che reciprocamente hanno registrato. Tragedie, piccole o grandi che si ripetono giornalmente.

Prima accadeva lentamente, oggi, accade sempre più velocemente, sempre più “in diretta!.

Il contesto della fruizione del file sarà (quasi sicuramente) diverso dal contesto della produzione.

Ad ogni modo…, quello che, a volte, si risolve in una tragedia, nelle dinamiche, è quello che migliaia di aziende e agenzie, che centinaia di migliaia di modelle e modelli, milioni di persone perseguono e si augurano accada ogni giorno. Che il proprio video, la propria parola, il proprio volto, diventi virale. Che si espanda e che occupi spazio nei telefonini di altri.

Viralità

La ricerca della viralità, della somma dei like, il desiderio di espansione del nostro ego, ci spinge ad accettare (quasi) tutto. Il gesto della condivisione, anche senza convinzione, è ripetuto con tale facilità che non pensiamo (quasi) mai a cosa accadrà dopo. Dove conducono queste condivisioni? A cosa? Cosa aggiungono alla nostra vita?

A volte la viralità, di cui noi stessi, spesso, siamo testimoni e attori, arriva senza essere richiesta. Anzi, pare che diventi virale tutto quello che non dovrebbe diventarlo.

Ogni qualvolta guardiamo il nostro cellulare, ogni qualvolta (ci) facciamo una foto, siamo consapevoli della potenza di fuoco che mettiamo in rete? Siamo e saremo pronti a convivere con questa popolarità? Saremmo pronti a sostenere fisicamente ed emotivamente le vere relazioni? Siamo pronti ad affrontare la nuova realtà che produciamo con le nostre azioni sul web?

A dirla tutta, credo che non sia cosa per tutti.

Quale politica?

Nell’Onlife Manifesto troviamo scritto

Le politiche devono partire da una comprensione critica di come le vicende umane e le strutture politiche siano profondamente mediate dalle tecnologie. Per accettare responsabilità in una realtà iperconnessa è necessario riconoscere che le nostre azioni, percezioni, intenzioni, la nostra morale e perfino la nostra corporeità sono intrecciati con le tecnologie in generale e con le tecnologie dell’informazione in particolare.

Dovrebbero essere inimmaginabili e inaccettabili, da parte di personalità pubbliche, ascoltare certi giudizi dati per ignoranza e non per conoscenza.

Andrea Resmini, lancia una riflessione, a mio avviso, allarmante.

La primavera scorsa, Facebook ha dovuto dichiarare che non avrebbe in nessun modo cercato di influenzare le elezioni americane.

In linea di principio, non è chiaro nemmeno perché Facebook, che è un’azienda, dovrebbe fare una simile dichiarazione.
Non sappiamo come Facebook ordini, escluda, o promuova contenuti. È la loro algoritmica ricetta segreta.

Quello che è necessario è smettere di pensare che tutto ciò sia “virtuale”.

Pensare ai problemi della gente senza prendere in considerazione il cambiamento culturale che sta attraversando la gente è certamente poco responsabile.

Una solida borsa degli attrezzi

Continua l’Onlife Manifesto

Noi riteniamo che ognuno abbia bisogno sia di protezione sia di esposizione agli occhi del pubblico. La sfera pubblica dovrebbe favorire una serie d’interazioni e impegni che includano e autorizzino una affermata opacità dell’io, il bisogno di esprimersi, l’estrinsecazione dell’identità, la possibilità di reinventarsi, ma anche una certa indulgenza per una deliberata smemoratezza.

Vale la pena riscrivere le parole di Enrico Lucci, giornalista e autore del programma Le Iene, che alla fine di un suo servizio dal titolo “Depressione da reality” affermava:

Il futuro è un altro. La purificazione non è da tutti. Il segreto è una solida borsa degli attrezzi. Se uno si attrezza bene, è impossibile perdersi in un bicchiere d’acqua.

Enrico Lucci faceva riferimento alla possibilità di ritornare alla realtà, per coloro che avevano avuto la popolarità di un noto programma (a cui migliaia di giovani aspirano) e che sono rimasti invischiati in quel mito. Non so se sia impossibile perdersi. Certo è che per gestire una storia abbiamo bisogno degli attrezzi. Attrezzarsi bene è una possibilità per la salvezza.

Avere consapevolezza, nel bene e nel male, di tutto questo, è una prima barriera di difesa.

Attenzione

Andrea Resmini conclude il suo articolo ammonendo un po’ tutti.

Il peggio che ci può capitare è, come dire, molto peggio, non è Orwell e il suo Grande Fratello. Senza pensiero critico, senza un’etica del post-digitale, quello che ci aspetta è il nuovo mondo di Huxley, dove tutti saremo schiavi e felici di esserlo, anestetizzati da panem, circenses e lolcats.

La ricerca della felicità passa dunque attraverso una cultura digitale fatta di consapevolezza e di conoscenza.

Che l’attenzione, come barriera all’instupidimento, rimanga alta. Come si conclude nell’Onlife Manifesto.

Noi riteniamo che le società debbano prendersi cura, proteggere e alimentare le capacità di attenzione proprie dell’essere umano. Con questo non diciamo che si debba rinunciare alla ricerca di miglioramenti, che sono e rimangono sempre utili, ma vogliamo insistere sul fatto che le capacità
di attenzione sono una risorsa finita, rara e preziosa.

Non mi resta che sottoscrivere queste parole dell’Onlife Manifesto. Prendersi cura di se stessi.

E non mi resta che sottoscriverle mentre anch’io mi trovo, proprio come voi, nell’ecosistema Onlife.

Luciano Floridi la quarta rivoluzione riassunto

Il libro “La quarta rivoluzione: come l’infosfera sta trasformando il mondo” di Luciano Floridi è un’analisi approfondita della trasformazione della società, dell’economia e della cultura causata dalla crescente importanza dell’infosfera, ovvero l’ambiente digitale in cui le informazioni circolano e vengono elaborate.

Floridi sostiene che la nostra epoca sta assistendo a una quarta rivoluzione, dopo quelle agricola, industriale e dell’informazione, caratterizzata dall’interconnessione globale di dati, informazioni e conoscenze che si sta intensificando grazie alle tecnologie digitali.

In questa nuova epoca, la vita quotidiana e le dinamiche sociali sono sempre più interconnesse e interdipendenti grazie alla rete, e questo ha un impatto profondo sulla nostra identità, sulle nostre relazioni, sulle nostre istituzioni e sulla nostra cultura. La quarta rivoluzione sta cambiando radicalmente la natura dell’essere umano e della sua relazione con il mondo.

Floridi esplora i temi della privacy, della sicurezza, della proprietà intellettuale, del potere e della responsabilità, sostenendo che queste tematiche sono ancora più urgenti e complesse nell’era dell’infosfera. In particolare, Floridi sottolinea l’importanza di proteggere i diritti umani fondamentali in un mondo sempre più interconnesso e di garantire che la tecnologia sia utilizzata per il bene comune.

In sintesi, “La quarta rivoluzione” di Luciano Floridi analizza in modo approfondito le trasformazioni sociali e culturali causate dall’infosfera, e sostiene la necessità di una riflessione critica e di un approccio responsabile alla gestione delle tecnologie digitali e delle informazioni che circolano in rete.