Intelligenza Artificiale e LLM, cosa sono? Di cosa si tratta? Ormai tutti sembriamo grandi esperti di intelligenza artificiale, tutti sembriamo capire bene di cosa si tratta. Questo articolo è rivolto a giovani ragazzi e a chi si sta approcciando al tema per la prima volta. E probabilmente chiederà direttamente ai modelli linguistici di spiegare di cosa si tratta. Ma anche se arrivassi ad una sola persona, questo contenuto avrà svolto il suo ruolo.
Breve introduzione
L’Intelligenza Artificiale è la capacità delle macchine di “imparare” da grandi quantità di dati, arrivando così a compiere operazioni che, fino a poco tempo fa, avremmo ritenuto possibili solo grazie all’ingegno umano. I cosiddetti Large Language Model, o LLM, sono un esempio di questa evoluzione: rappresentano una categoria di sistemi di AI addestrati a elaborare e generare testo, come avviene in modelli quali ChatGPT o Gemini (solo per dirne due), in grado di fornire risposte intelligenti, riassunti, idee creative o anche vere e proprie sceneggiature.
In queste poche righe troverai un riepilogo veloce di cosa sono l’Intelligenza Artificiale e i Large Language Model, perché stanno rivoluzionando il modo in cui creiamo e fruiamo informazione, e come possono influenzare l’architettura dell’informazione sonora.
Tecnologia e questioni etiche
Questi strumenti non sono soltanto un vezzo tecnologico. Ci fanno risparmiare tempo, possono accelerare processi creativi, semplificano la stesura di testi e offrono un valido supporto per chi crea o cura contenuti audio, ad esempio podcast e format radiofonici.
Al contempo, aprono questioni etiche e sociali di grande rilievo, come la potenziale disinformazione e la necessità di garantire privacy e inclusività.
Per chi, come noi, si occupa di architettura dell’informazione con la passione dell’audio, la capacità di comprendere il linguaggio naturale e di generare contenuti fruibili all’orecchio rappresenta un’enorme opportunità. Pensare con l’architettura dell’informazione sonora significa re-immaginare il modo in cui progettiamo esperienze audio, dai podcast alla comunicazione tramite assistenti vocali, fino alle interfacce conversazionali.
Contesto e scopo
Ho deciso di scrivere questo articolo perché, pur vivendo in un luogo lontano dai grandi centri del dibattito tecnologico, credo che sia importante condividere informazioni e riflessioni utili a chi, come me, cerca risposte e ispirazioni nel mondo dell’Intelligenza Artificiale.
Non ho il lusso di poter inseguire scoop o rivelazioni in anteprima, eppure il confronto quotidiano sul web mi ha fatto capire che esiste un gran bisogno di chiarezza: i discorsi sull’AI e i modelli linguistici sono così frequenti che spesso ci disorientano.
Per questo ho deciso di offrire un contenuto di servizio e approfondimento, che non pretende di essere esaustivo, ma che prova a mettere ordine fra le tante informazioni disponibili. Mi rendo conto che sarà un testo lungo, quasi un “contenitore” in continua evoluzione, perché ogni giorno si aggiungono novità su cui varrebbe la pena riflettere o tornare, ma proverò comunque a sintetizzare i concetti essenziali per chi ha poco tempo.
AI e i Large Language Model per principianti
In questo articolo, innanzitutto, cercherò di spiegare l’AI e i Large Language Model in modo semplice, così da dare le basi a chi si avvicina all’argomento per la prima volta.
Viviamo un momento in cui gli assistenti vocali, i podcast e le interfacce conversazionali diventano sempre più influenti, e l’AI, con la sua capacità di generare e comprendere contenuti audio, sta ridefinendo il nostro modo di creare e distribuire informazione.
Lavoro personalmente sulla progettazione di chatbot e conversazioni, e mi sembra evidente che l’avvento di sistemi generativi, capaci di “produrre” risposte senza che noi dobbiamo fornirle riga per riga, apra scenari completamente nuovi, tanto per il business quanto per l’esperienza d’uso.
Imparare a guidare queste tecnologie significa non lasciarci travolgere, ma anzi sfruttarle in modo consapevole ed efficace.
Cos’è l’Intelligenza Artificiale (AI)
L’Intelligenza Artificiale (AI) è una disciplina che ha come obiettivo quello di dotare le macchine di capacità simili a quelle umane. Ossia la capacità di apprendere, ragionare e compiere scelte in base ai dati.
In altre parole, si tratta della creazione di algoritmi e sistemi in grado di svolgere compiti complessi, come il riconoscimento di pattern o l’abilità di adattarsi a situazioni nuove, proprio come farebbe una persona. Questi sistemi non sono solo “intelligenti” nel senso stretto del termine, ma sono in grado anche di evolversi e migliorare nel tempo, apprendendo dai dati che processano.
Breve storia dell’AI (parte prima)
La storia dell’AI, un cammino che attraversa moltissime scoperte e teorie, inizia con il calcolo simbolico degli anni ’60, quando i primi studiosi cercavano di riprodurre l’intelligenza umana attraverso la logica formale. Più avanti, con l’arrivo delle reti neurali, l’intelligenza artificiale si è evoluta in una direzione in cui le macchine potevano imitare il funzionamento del cervello umano, costituito da migliaia di neuroni, ma in modo informatico.
È solo con l’avvento del machine learning e, successivamente, del deep learning, che l’AI è diventata davvero potente. Grazie a modelli capaci di elaborare enormi quantità di dati, oggi possiamo vedere l’intelligenza artificiale in azione in modi che un tempo sembravano fantascienza.
Campi di applicazione
I campi di applicazione sono praticamente infiniti e toccano ogni aspetto delle nostre vite. L’intelligenza artificiale permette alla macchina di interpretare immagini attraverso la visione artificiale, di assisterci con robot in vari ambiti, di suggerire prodotti attraverso i recommendation system, e di analizzare testi o generare linguaggio naturale attraverso l’elaborazione del linguaggio naturale.
Questo campo, in particolare, ha visto arresti spettacolari in tempi recenti.
La classificazione del testo o l’analisi del sentiment, permettono di rendere i computer capaci di comprendere i significati nascosti dietro le parole e persino di generare nuovi contenuti, che siano sintesi, risposte a domande o persino intere narrazioni, tutte in modo naturale e coerente.
Se scomponiamo il linguaggio umano in dati, allora la macchina diventa interamente capace di interagire con noi, fruendo e rispondendo nel nostro stesso linguaggio. Questo è uno dei motivi per cui l’AI è così rilevante oggi, specialmente quando si parla di conversazioni vocale e scritta, ma anche nella progettazione di contenuti sonori, dove il linguaggio e il suono diventano un unico, fluido mezzo di comunicazione.
Disciplina che si propone di costruire algoritmi
Quando parliamo di Intelligenza Artificiale, ci riferiamo a quella disciplina che si propone di costruire algoritmi e macchine capaci di eseguire compiti che normalmente richiederebbero l’“intelligenza” di un essere umano.
In altre parole, si tenta di dotare un software o un robot della capacità di riconoscere pattern, ragionare su problemi complessi e persino “apprendere” nuove abilità a partire dai dati che gli vengono forniti.
Il concetto di “apprendimento” qui è cruciale: significa che non dobbiamo spiegare a queste macchine, passo dopo passo, come affrontare ogni singolo scenario, ma possiamo lasciarle estrarre regole e comportamenti in modo autonomo, grazie a complessi metodi matematici.
Breve storia dell’AI (parte seconda)
Per capire come siamo arrivati a questa visione, possiamo gettare uno sguardo alla storia dell’AI. Tutto ebbe inizio quando alcuni ricercatori, a metà del secolo scorso, iniziarono a ipotizzare che la mente umana non fosse altro che una sorta di “elaboratore” di simboli.
Da questa intuizione nacquero i primi modelli di calcolo simbolico, che però erano molto limitati e dipendenti dall’intervento degli esperti. Col passare degli anni, la ricerca si concentrò sempre di più sulle reti neurali, ispirate al funzionamento dei neuroni biologici, e successivamente sul machine learning, in cui gli algoritmi imparano dai dati senza essere esplicitamente programmati per ogni evenienza.
Oggi parliamo spesso di deep learning, ossia di “apprendimento profondo” mediato da reti neurali molto grandi e complessi, che è alla base di molte delle tecnologie di cui usufruiamo ogni giorno.
Applicazioni quotidiane
Questo percorso ci ha aperto la strada a una serie di applicazioni impensabili fino a qualche decennio fa. Oggi sfruttiamo l’AI per la visione artificiale, cioè il riconoscimento automatico di oggetti o persone nelle immagini, per i sistemi di raccomandazione che ci suggeriscono film o prodotti online e persino nella robotica, dove i robot possono muoversi e interagire con l’ambiente circostante in maniera più autonoma.
E poi c’è tutto il mondo dell’interazione vocale, che inizia col riconoscimento della nostra voce e continua con la capacità di rispondere a domande o eseguire comandi, come fanno gli assistenti virtuali che ormai abbiamo in casa o sullo smartphone.
Cosa sono i Large Language Model (LLM) e perché se ne parla tanto
Quando sentiamo parlare di “Large Language Model”, in genere ci riferiamo a sistemi di intelligenza artificiale che hanno “letto” una mole impressionante di testi, abbastanza da poter rispondere a domande o generare frasi come se fossero scritte da un essere umano.
L’idea è che questi modelli, addestrati su qualunque tipo di contenuto testuale, articoli, libri, pagine web, riescono a riconoscere e riprodurre schemi linguistici estremamente complessi. In sostanza, è come se un modello avesse studiato così tanti esempi di frasi e contesti d’uso delle parole da poter simulare una comprensione del linguaggio, arrivando a proporre non solo risposte, ma anche riassunti, idee, testi originali e così via.
Come funziona una rete neurale
Per capire come funzionano, basta immaginare una rete neurale, ossia un sistema di calcolo che s’ispira (almeno per metafora) al cervello umano, ma costruita secondo l’architettura “transformer”. È proprio grazie ai transformer che modelli come GPT o altri riescono a gestire enormi quantità di dati in parallelo, individuare pattern statistici e restituire risposte coerenti.
Quando chiedo qualcosa a un modello come GPTo3, quello che succede è che la rete neurale scompone la domanda, riconosce le parole chiave, ne comprende il contesto (o meglio, lo “apprende” statisticamente) e poi produce una risposta che cerca di rispettare le regole e gli stili della lingua. Il meccanismo è più complesso di così, ma è importante sapere che non c’è una vera “coscienza” dietro alle frasi, bensì una sofisticata capacità di prevedere quale parola potrebbe venire dopo l’altra.
Modelli linguistici
Modelli come ChatGPT, GPT-4, Gemini o Bing Chat sono diventati popolari perché permettono a chiunque di interagire con loro in maniera simile a come si farebbe con una persona, scambiando messaggi in chat.
Ognuno di questi sistemi ha le sue peculiarità, ad esempio Bard è integrato nell’ecosistema di Google, mentre ChatGPT è sviluppato da OpenAI e si è fatto conoscere per la capacità di generare testi molto naturali.
Il motivo per cui vengono definiti “rivoluzionari” è che hanno raggiunto un livello di accuratezza e velocità nel trattare il linguaggio mai visto prima. Questi sistemi possono aiutare a redigere documenti, scrivere codice, tradurre, sintetizzare contenuti lunghi in riassunti brevi e perfino inventare spunti creativi. È come avere a disposizione un assistente versatile capace di elaborare testi in qualunque lingua e con uno stile sorprendentemente convincente.
Questioni aperte
Come in ogni rivoluzione tecnologica, però, non mancano le questioni aperte.
Da un lato, la comodità di automatizzare molti compiti e la possibilità di “delegare” certe fasi del lavoro alla macchina sono innegabili; dall’altro, ciò solleva interrogativi importanti sulla disinformazione, perché un modello può creare contenuti poco affidabili e presentarle come verità, ma anche sui bias, ossia i pregiudizi ereditati dai testi con cui è stato addestrato.
C’è inoltre il rischio di fare troppo affidamento su questi strumenti e di perderne il controllo, soprattutto quando li si utilizza come unica fonte di informazioni o idee.
Insomma, i LLM promettono di cambiare radicalmente il nostro modo di comunicare e di utilizzare le informazioni, ma proprio per questo motivo dovremmo adottarli con una buona dose di consapevolezza.
Applicazioni e impatto sull’architettura dell’informazione sonora
Se guardiamo all’architettura dell’informazione sonora dal punto di vista di chi progetta chatbot e assistenti vocali, ci rendiamo subito conto di quanto la comprensione del linguaggio naturale abbia trasformato l’esperienza degli utenti.
Un tempo, le conversazioni con questi sistemi erano vincolate a comandi rigidi e frasi predefinite: dovevi dire la formula giusta, altrimenti l’assistente non capiva.
Oggi, invece, strumenti come Alexa, Siri o Google riescono a interpretare le nostre richieste in modo molto più flessibile, e questa evoluzione ha cambiato radicalmente il modo in cui progettiamo l’interazione.
L’utente può fare una domanda più “umana”, con parole sue, e il sistema risponde con una naturalezza impensabile fino a pochi anni fa. Questo significa che chi disegna il flusso della conversazione deve dedicare ancora più attenzione a creare un ambiente dialogico accogliente, con risposte pertinenti e capaci di gestire anche gli eventuali malintesi o le domande più stravaganti.
Contenuti audio con AI
Un altro aspetto che sta emergendo con forza è la generazione di contenuti audio, dove l’AI non si limita più a “far parlare” un bot con voce sintetica, ma può clonare la voce e addirittura creare interi podcast in modo automatico.
Esistono già strumenti capaci di prendere un testo scritto, elaborarlo e sintetizzarlo con una voce personalizzata: puoi scegliere il timbro, l’accento, il ritmo, e ottenere risultati sempre più vicini a una voce umana.
È affascinante, ma anche pieno di implicazioni, perché ci si domanda che fine faccia l’autenticità di una voce, o quanto sia opportuno automatizzare la produzione di contenuti che, per loro natura, richiederebbero un tocco personale.
Dal punto di vista dell’informazione sonora, però, è chiaro che avere a disposizione voci sempre più realistiche aiuta a sperimentare nuovi formati e a rendere l’audio accessibile in contesti dove prima c’era solo del testo, come nel caso di newsletter o articoli trasformati in clip da ascoltare.
Progettazione della user journey
Se poi ci spostiamo sulla progettazione della user journey sonora, l’AI ci offre strumenti potentissimi per organizzare, classificare e rendere navigabili i contenuti audio.
Possiamo pensare, ad esempio, a un podcast lungo un’ora che si suddivide automaticamente in capitoli, ognuno con un titolo generato dall’algoritmo, mentre una trascrizione accurata fornisce testi di accompagnamento, utili a chi preferisce leggere o a chi vuole saltare immediatamente al punto d’interesse.
Questo è possibile perché l’AI impara a identificare i momenti salienti, le parole chiave, gli argomenti che si susseguono e li etichetta, offrendo alla persona un sistema di navigazione più avanzato rispetto al semplice scorrimento di una traccia audio.
Come utilizzare le nuove tecnologie
Come architetto dell’informazione, vedo in queste tecnologie la possibilità di inventare nuove interfacce e nuovi modi di fruire i contenuti, creando percorsi personalizzati e “taggando” gli audio in maniera semantica, così da collegare episodi diversi che trattano temi simili.
Ovviamente la prova più concreta di questi progressi la troviamo nelle piattaforme e nei professionisti che già stanno integrando i Large Language Model nelle proprie pratiche.
C’è chi utilizza un chatbot “intelligente” per suggerire all’ascoltatore un passaggio specifico in un podcast, individuando esattamente il minuto in cui si discute l’argomento desiderato. Altri ricorrono a sistemi di sintesi vocale altamente personalizzati per dare un’identità sonora inconfondibile ai propri prodotti, come se fosse la “voce ufficiale” dell’azienda.
In alcuni casi, team di produzione hanno già iniziato a creare contenuti “su richiesta”, lasciando che l’AI faccia da regista di un programma audio, scegliendo temi, scrivendo brevi intro e suggerendo interviste virtuali.
È un terreno in continua evoluzione, dove ogni sperimentazione ci mostra nuove modalità di interazione tra voce, testo e algoritmi, e sta a noi, come architetti dell’informazione, guidare e orientare questo potenziale in modo che rimanga davvero al servizio delle persone.
Approfondimento su aspetti etici, privacy e bias
L’uso di modelli di Intelligenza Artificiale, pur portando molti benefici, solleva anche importanti questioni etiche e pratiche che dobbiamo affrontare con attenzione.
Uno dei problemi principali riguarda la responsabilità dei contenuti generati.
L’intelligenza artificiale, in particolare i modelli linguistici avanzati, può produrre contenuti che sembrano perfettamente credibili ma che, in realtà, non sono basati su fatti veri. La distorsione o la creazione di contenuti fittizi comporta il rischio di disinformazione, una minaccia che diventa ancora più seria se questi strumenti vengono usati per manipolare l’opinione pubblica o per diffondere false notizie che vengono poi prese per vere.
Gli strumenti AI sono sempre più abili nel replicare lo stile umano, ma non hanno una comprensione reale del contesto e, dunque, possono facilmente generare affermazioni errate, sfruttando la loro velocità e portata. È essenziale che sviluppatori, e chi utilizza questi strumenti, siano pienamente consapevoli di questo rischio e si impegnino a garantire la veridicità dei contenuti che vengono prodotti. Un’altra preoccupazione urgente riguarda la privacy.
I dati utilizzati dai modelli di intelligenza artificiale
I modelli AI si alimentano di enormi volumi di dati, compresi testi, registrazioni audio e metadati, per allenarsi e migliorare.
Questi dati spesso contengono informazioni personali che, in alcune situazioni, potrebbero essere utilizzate in modo improprio. L’uso di dati senza un’attenta gestione rischia di violare la privacy degli utenti, esponendo informazioni sensibili. In molti casi, questi sistemi operano in modo invisibile, raccogliendo dati senza che gli utenti ne siano completamente informati.
È fondamentale adottare pratiche più trasparenti nell’uso di queste tecnologie, precisando in che modo i loro dati vengono utilizzati, e garantire che vengano adottate misure di sicurezza adeguate per proteggere la privacy. Infine, un’altra dimensione altrettanto rilevante è quella dei bias presenti nelle AI.
Stereotipi e pregiudizi sociali
Poiché i modelli vengono addestrati su dati storici e testi che possono essere infetti da stereotipi o pregiudizi sociali, c’è il serio rischio che questi modelli ereditino e amplifichino tali disparità. Ad esempio, un sistema di selezione automatica che si basa su dati storici potrebbe finire per favorire inconsapevolmente determinati gruppi sociali, mantenendo disparità di genere, etnia o classe sociale.
Questo non solo mina la fiducia nell’intelligenza artificiale, ma ha anche impatti diretti sulla società, contribuendo magari a perpetuare discriminazioni.
Inclusività
Un altro elemento da considerare è l’inclusività. Se i dati usati per allenare l’intelligenza artificiale non sono rappresentativi delle diversità dei gruppi sociali, il modello rischia di non essere sensibile alle esigenze o ai comportamenti di tutte le persone. Il punto centrale è che l’AI non è neutrale; riflette sempre i dati di cui è dotata e, pertanto, dobbiamo prenderci la responsabilità che le tecnologie che sviluppiamo o utilizziamo non abbiano effetti collaterali indesiderati.
Comprendere queste problematiche, e informarsi su come usarle con consapevolezza, è fondamentale non solo per evitare danni, ma per fare in modo che l’AI serva in modo rispettoso e etico le persone.
Etica, continuamente etica
Quando si parla di Intelligenza Artificiale e di modelli linguistici avanzati, prima o poi ci si scontra con il tema dell’etica e della responsabilità di chi li sviluppa e di chi li utilizza.
Un sistema che “impara” da grandi volumi di dati, infatti, può generare contenuti distorti, inesatti o addirittura completamente inventati, a volte con una sicurezza apparente che rende ancora più difficile distinguere il vero dal falso.
Trasparenza
Il rischio di diffondere disinformazione o di manipolare l’opinione pubblica si fa concreto, specie quando si integrano questi modelli in piattaforme che raggiungono milioni di persone. Non basta dunque lavorare sulla tecnologia occorre anche un discorso serio sulla trasparenza, su come fornire agli utenti un “controllo” su ciò che un’AI elabora, e su come stabilire chi ne sia effettivamente responsabile-
Privacy
Un problema non meno delicato è quello della privacy. I modelli AI funzionano nutrendosi di enormi quantità di testi, audio e metadati, spesso contenenti informazioni personali. È plausibile che, in alcuni casi, la mole di dati su cui l’algoritmo si è addestrato includa anche dettagli che le persone non pensavano di rendere pubblici in modo così massiccio e automatizzato. Quando si utilizzano questi sistemi in aziende o servizi rivolti al pubblico, diventa fondamentale informare in maniera chiara gli utenti sul tipo di dati raccolti e sul loro eventuale impiego, perché la fiducia si costruisce solo se ciascuno è consapevole di come viene trattata la propria identità digitale.
Bias
A complicare ulteriormente il quadro, c’è il tema dei bias, i pregiudizi che una macchina può ereditare dai dati con cui è stata addestrata.
Se la gran parte del materiale proviene da fonti in cui emergono stereotipi di genere, discriminazioni o rappresentazioni di certe categorie sociali in maniera limitata, il modello tenderà a riprodurre quegli stessi schemi. Questo aspetto solleva interrogativi sull’inclusività, perché rischiamo di avere sistemi che rafforzano ingiustizie e disparità già esistenti nel mondo reale. Parlare apertamente di queste sfide non serve a gettare cattiva luce sull’AI, ma a ricordare che le tecnologie non sono neutrali e hanno conseguenze concrete su come viviamo e condividiamo l’informazione. Usare gli strumenti con consapevolezza significa anche riconoscere il loro potere di influenzare le nostre percezioni, e cercare, fin dall’inizio, di progettare algoritmi, interfacce e processi di controllo che mettano al centro la responsabilità e il rispetto della dignità umana.
Intelligenza Artificiale e LLM
Dopo questo lungo viaggio attraverso l’Intelligenza Artificiale e i modelli linguistici, c’è un aspetto che mi preme sottolineare più di ogni altro.
Siamo di fronte a un cambio di paradigma che coinvolge ogni forma di informazione.
Non si tratta più soltanto di “programmare” un robot o un assistente vocale, ma di concepire nuovi modi di creare e distribuire contenuti, immaginando interazioni sempre più fluide e vicine al linguaggio umano.
In questo panorama in costante evoluzione, la sfida più grande è restare lucidi e consapevoli dei rischi e delle opportunità che l’AI ci offre, imparando a sfruttarla come leva creativa e non come strumento sostitutivo delle nostre competenze.
Nessuno si senta escluso
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Il mondo dell’AI si muove in fretta, ma con il sostegno e le idee di tutti possiamo aggiornare e arricchire costantemente queste riflessioni, rendendole sempre più utili e vicine alle esigenze reali di chi, ogni giorno, interagisce con queste tecnologie.