Le piattaforme che utilizziamo quotidianamente,

da piattaforme di incontro,

sono diventate

  • piattaforme mangia tempo, se si è fruitori di contenuti;
  • piattaforme mangia soldi, se si è produttori di contenuti con la volontà di far leggere i propri contenuti.

Nel mese di settembre 2020 si è fatto un gran parlare, proprio sulle piattaforme, in un documentario prodotto da Netflix dal titolo The social dilemma. Documentario già dimenticato.

Piattaforme e Internet

Personalmente non mi piace quando volontariamente o involontariamente si fa confusione tra piattaforme e internet.

Primo perché quando si fa questa confusione si addossano ad internet colpe che non ha e secondo queste colpe oscurano le numerose opportunità che internet ha offerto ed offre.

Non che internet non sia pieno di pericoli. Ma se vi trovate a leggere questo articolo è grazie ad internet. Se io ho la possibilità di comunicare e confrontarmi con voi che mi leggete è grazie ad internet. Se riesco a formarmi e informarmi a bassissimo costo è grazie ad internet.

The Social dilemma

Gigio Rancilio ha scritto un articolo interessante sul tema

mentre

Alberto Puliafito ha commentato al volo il documentario.

il punto di vista è monolitico: ci sta, il film è a tesi, non ci vuole il contraddittorio. Ma allora il racconto dovrebbe essere ineccepibile. Invece è pieno di crepe (Snapchat Dismorphya? Seriously?)

la parte di fiction è poco onesta

la correlazione causa-effetto è data per scontata

l’uso dei dati è manipolatorio nella direzione che indichi nel tuo pezzo (far paura)

è un gran contenuto di marketing per i protegonisti

paradossalmente è una straordinaria pubblicità per Facebook & C (ah, manipolano? Fammi un po’ vedere)

è assolutorio nei confronti della politica e di chi inonda le piattaforme di contenuti manipolatori

i tech ‘pentiti’ si sentono dei gran fighi e sanno cos’è meglio per noi

in generale è manipolativo

Come abbiamo già visto in passato le nostre case sono invisibili. Possiamo rendercene conto, osservando la nostra attività social, come trascorriamo il tempo quando siamo connessi, quanto tempo trascorriamo dentro le piattaforme. Se non riusciamo ad essere abbastanza introspettivi (brutto segno!) possiamo osservare i ragazzi in strada, i giovani che ci circondano, i vostri figli (io non ne ho) o ai figli dei nostri amici.

Piattaforme mangia tempo

La realtà è che vogliamo, senza riuscirci, restare al passo con tutti gli impulsi che ci lanciano,

E su questo tentativo vano, che ci tiene dentro la piattaforma, le piattaforme guadagnano.

In un mondo dove lo slogan è “condivido dunque sono” non c’è spazio per la solitudine.

E tutti siamo alla ricerca di notorietà (sempre più spesso a tutti i costi).

Piattaforme mangia soldi

Il blog, lo avranno notato i più attenti, dall’estate 2020, è uscito fuori dalle piattaforme, lasciando la pagina social, e non ha più forme di condivisione dirette.

Chi vuole condividere un articolo deve copiare il link del browser e postarlo sulle proprie bacheche. Insomma deve fare uno sforzo e un gesto consapevole di condivisione.

Si tratta di una scelta drastica, forse anche auto distruttiva, ma per quanto minimale non voglio far parte del grande gioco dei social.

I contenuti che pubblico sulla pagina dedicata è mostrata ad una piccola percentuale di lettori mentre all’interno delle piattaforme se non si sponsorizza un post, se non si paga il dazio alle piattaforme, l’articolo, così come i contenuti, sono concessi ad una piccola parte del pubblico.

Internet è una opportunità

Internet è un bagaglio di conoscenza che nessuna civiltà ha mai conosciuto. Al suo interno possono nascere comunità e le persone possono creare progetti da far crescere, fisicamente localmente o internazionalmente.

Le piattaforme social nascono dentro Internet, dentro questo sistema. E non viceversa. Le piattaforme hanno tratto e traggono la loro idea di comunità, di connessione, dall’idea primordiale dell’internet. Non il contrario.

Il problema nasce se pensiamo che le piattaforme, che i social network, siano l’Internet. Il problema nasce se pensiamo che il tempo trascorso su un blog, su un sito che propone corsi di formazione, sia uguale a quello trascorso su Facebook o su Tik tok.

Siamo confusi e volutamente ci confondono, siamo immersi in un mare di informazione che non riusciamo più a distinguere il vero dal falso. Ed in questo magma è difficile astrarsi.

È solo colpa delle piattaforme?

Se le cause o le colpe ci sono probabilmente si trovavano e si trovano già nella nostra quotidianità. Forse le piattaforme (pensiamo che facebook nasce nel 2004, in Italia io ne ho sentito parlare nel 2007) hanno seguito il vento. Oggi, in molti sostengono che le piattaforme amplificano quello che esiste nel reale.

Oggi penso a tutte le mie relazioni umane e mi chiedo se sono stati davvero i social a dissolvere e annacquare il concetto di amicizia. Oppure già da tempo si è delineata una società che ha spinto alla competizione estrema. Forse il mito della flessibilità e della mobilità, che ci doveva rendere tutti più ricchi, ha tradito un’intera generazione che oggi si trova sempre più disagiata, sempre più precario e senza futuro. Forse questa generazione rimasta in aria, non ancora vecchia e non più giovane, vive di invidia sociale per chi pare ce l’abbia fatta?

Insomma non è che, già prima che le piattaforme prendessero piede, le nostre relazioni fossero già deteriorate e questa nuova situazione abbia dato spazio all’invidia sociale dissolvendo i legami tra amici, tra colleghi e comunità di riferimento?

Forse che la competizione sempre più estrema, la richiesta sempre più alta di formazione, la laurea prima, poi il master, poi il master di secondo livello, poi andare all’estero per imparare l’inglese, poi l’inglese da solo non basta, meglio una seconda lingua straniera, meglio se impari il tedesco, no, il cinese. E se a tutto questo continuo formarsi non sia arrivato nulla? Al peggio le famiglie non sono riuscite a finanziare e a competere, i ragazzi hanno avuto esperienze negative e sono rimasti indietro. E al meglio oggi hanno raggiunto un lavoro ma hanno una vita a pezzi, una famiglia che non vedono mai, costruita solo nelle vacanze.


A questo si aggiunge il distanziamento sociale a cui siamo oggi costretti. Le comunità si rafforzeranno, le relazioni cresceranno ad un nuovo stadio di energia, oppure saremo sempre più soli?

La ricerca di senso

Solo la ricerca di senso può salvarci, o può frenare il degrado.

Sono convinto, infatti, che la consapevolezza dei timori, come la consapevolezza delle opportunità, possa aiutare a trovare un giusto equilibrio all’uso degli strumenti.

In questo senso l’architettura dell’informazione ha un ruolo non solo all’interno dei siti web, ma anche nella diffusione di una cultura digitale consapevole. L’architettura dell’informazione come disciplina della ricerca di senso assume una responsabilità che va oltre l’organizzazione delle informazioni.

Non è tutto male e non è tutto bene. Viviamo in un mondo complesso, dentro una società interconnessa e non ci sono solo zone grigie o nere. Abbiamo bisogno di istruzione, abbiamo bisogno di cultura, cultura digitale. Dobbiamo favorire le buone pratiche, essere noi stessi attori attivi nel creare contenuti positivi. Dobbiamo rendere conveniente far creare contenuti di qualità.

Perché se è vero che le macchine possono incastrarci, se è vero che le piattaforme possono mangiare il nostro tempo, è anche vero che, nonostante tutto, solo le persone possono dare un senso a tutto questo.

Mondo complesso

Ma vorrei sottolineare la complessità di questo mondo e di come ci siamo arrivati.

  • La competizione estrema, l’invidia sociale, il dissolversi delle relazioni è qualcosa che ci viene dalla società analogica.
  • Se è pur vero che questa patologia è diffusa è anche vero coinvolge una parte del mondo e non la sua interezza; riguarda persone che fanno parte di un dato ceto sociale, che svolgono un lavoro di un certo livello e che hanno determinate capacità economiche.

C’è ancora chi vive in un mondo analogico, disconnesso, privo di internet. E non penso che questo mondo che non ha accesso ad internet sia migliore o che la disconnessione sia auspicabile.

Ripeto, viviamo in un mondo complesso. E penso che sia meglio divulgare cultura digitale piuttosto che spingere sulle paure che dobbiamo analizzare ed osservare.

Dal mio punto di vista, abbiamo la necessità e il bisogno di acquisire consapevolezza per usare gli strumenti che la tecnologia ci mette a disposizione. Connessi con noi stessi e con le persone.