Creare una comunità di pratica è un’idea a cui penso già da tempo. E credo che sia un pensiero che in molti hanno per la testa. Almeno coloro che svolgono una attività da pioniere o che svolgono l’attività di architettura dell’informazione in provincia. E se non creare una comunità, quanto meno c’è la voglia di far parte di una comunità vera.

Perché oggi non c’è mancanza di informazioni. Si, a volte si cerca informazione di valore, ben organizzata e ben spiegata. Ma la verità è che si cerca e si spera di trovare confronto, un ambiente in cui sia possibile scambiarsi idee, opinioni e consigli.

Come creare una comunità di pratica

La creazione di una comunità di pratica richiede una pianificazione accurata e l’impegno da parte di tutti i membri. Qui ci sono alcuni passaggi da seguire per creare una comunità di pratica efficace:

  1. Identificare la necessità: identificare la necessità di creare una comunità di pratica e definire gli obiettivi della comunità.
  2. Selezionare i membri: selezionare i membri in base alle competenze e ai bisogni della comunità.
  3. Stabilire le regole: stabilire le regole e le linee guida per la partecipazione, la comunicazione e la condivisione di conoscenze all’interno della comunità.
  4. Pianificare le attività: pianificare le attività e le risorse necessarie per soddisfare gli obiettivi della comunità.
  5. Creare uno spazio virtuale: creare uno spazio virtuale in cui i membri possono interagire e condividere conoscenze e risorse.
  6. Favorire la partecipazione: favorire la partecipazione dei membri attraverso l’invio di inviti e promozione dell’interazione tra i membri.
  7. Promuovere la collaborazione: promuovere la collaborazione tra i membri attraverso attività di gruppo e progetti comuni.
  8. Valutare i risultati: valutare i risultati della comunità e fare regolarmente un bilancio per verificare l’efficacia delle attività.
  9. Migliorare continuamente: migliorare continuamente la comunità di pratica attraverso l’analisi dei risultati, il feedback dei membri e l’aggiornamento delle attività e delle regole.

In sintesi, creare una comunità di pratica richiede la definizione degli obiettivi, la selezione dei membri, la definizione delle regole e delle attività, la creazione di uno spazio virtuale, la promozione della partecipazione e della collaborazione tra i membri, la valutazione dei risultati e il continuo miglioramento.

Dialogo e scambio

Si cerca un gruppo, una comunità, una tribù (chiamatela come volete), per discutere dell’ecosistema di interesse. Siamo immersi nel flusso vorticoso di un mondo che cambia e di cui possiamo solo cogliere i segnali più evidenti.

Confrontarsi è quindi fondamentale per trovare punti di riferimento, tracce e diverse prospettive.

Le comunità esistono

Le comunità esistono. Non si creano dal nulla. I legami tra persone creano comunità. Le comunità esistono nei territori, nel mondo reale. A volte le comunità si formano intorno ad una causa comune, o un interesse, oppure intorno a dei valori. Grazie alle comunità si è più forti. Grazie alle comunità, chi vive lontano dai centri più attivi, può costruire relazioni importanti con altre persone.

Perché, in fondo, almeno penso, lo scopo di tante comunità è quello di abbattere il senso di solitudine dei singoli. Le persone hanno bisogno di raccontarsi e di ascoltare storie. E quando ci si incontra c’è uno scambio di energie davvero importante.

Creare una comunità di pratica

In pochi riescono a colmare il bisogno di sentirsi parte di qualcosa. Da un lato ci sono quelli troppo autorevoli da affiancare. Dall’altro ci sono quelli troppo inesperti per dire la loro. E poi ci sono le ostilità di chi pensa che tutti vogliono diventare UX Designer. Ci sono tanti modi di far parte di una comunità. La maggior parte aspetta la mossa dell’altro, nell’attesa che l’altro, appunto, si faccia carico del lavoro e della fatica che ci vuole a creare una comunità.

Forse non è il tempo delle comunità. Non è il tempo della condivisione. Forse abbiamo così tanto condiviso l’ineffabile che oggi è sempre più difficile condividere la sostanza.

Eppure solo una comunità può condividere, gratuitamente, per il bene del singolo come per il bene della massa. Solo la forza di una comunità può comunicare un pensiero forte. Solo la compattezza di una comunità può esprimere un parere di parte ma libero. E solo una comunità di pratica può divulgare conoscenza.

Un blog per la consapevolezza

Sono circa tre anni che scrivo questo blog con passione, entusiasmo e costanza. Aggiungo anche con una certa ossessione. Credo nell’architettura dell’informazione, credo nella diffusione della cultura digitale. Lo scopo iniziale era quello di farmi conoscere, creare un personal brand di valore e autorevolezza. Il sito porta, infatti, il mio nome. Ed anche per questo, presto, il blog perderà la sua centralità e sarà una parte del mio sito.

Col tempo, in questi ultimi mesi, mi sono reso conto che c’era un valore che stava più in alto della mia persona.

Ho potuto toccare con mano che manca una piena consapevolezza di ciò che sta accadendo nel mondo. Affermare questo non significa che io abbia capito tutto. Anzi. A me pare che manchi la consapevolezza di certi scenari e di certi contesti che si vanno via via formando. C’è un innegabile bisogno di cultura digitale, di alfabetizzazione di massa. E da una comunità si può partire per avere un quadro sempre più completo.

Una comunità può mettere a disposizione di tutti una cassetta degli attrezzi, un armadio pieno di strumenti capaci di trasmettere significati, creare comprensione e consapevolezza. In una parola condividere i talenti.

Comunità di pratica secondo Étienne Wenger

Il termine comunità di pratica, o “Community of practice“, compare agli inizi degli anni ’90, a opera di Étienne Wenger, ma la sua origine è molto più lontana nel tempo, basti pensare alle botteghe artigiane.

Il fine della comunità è il miglioramento collettivo. Chi aderisca a questo tipo di organizzazione mira a un modello di intelligenza condivisa, non esistono spazi privati o individuali, in quanto tutti condividono tutto. Chi ha conoscenza e la tiene per sé è come se non l’avesse. Le comunità di pratica tendono all’eccellenza, a scambiarsi reciprocamente ciò che di meglio produce ognuno dei collaboratori. Questo metodo costruttivista punta a costruire una conoscenza collettiva condivisa, un modo di vivere, lavorare e studiare, una concezione che si differenzia notevolmente dalle società di tipo individualistico, dove prevale la competizione. Le comunità di pratica sono “luoghi” in cui si sviluppa apprendimento, e ciò che cambia rispetto al passato è il modo e i mezzi per svilupparlo. La conoscenza diviene un mezzo per costruire collettivamente, seguendo il metodo del costruttivismo sociale. Da tale prospettiva scaturisce un apprendimento inteso come:

Creazione di significato: in una prospettiva di apprendimento permanente è significativa la nostra esperienza. L’esperienza diviene significativa quando si riflette su di essa, altrimenti è come una goccia d’acqua che scivola su un vetro, non lascia traccia alcuna. Tra i principali teorici dell’apprendimento permanente troviamo Kolb e Quaglino.

Sviluppo d’identità: apprendere è un processo che ci permette di interagire, partecipare, contribuire a definire un nostro spazio/ruolo in una comunità.

Appartenenza a una comunità: l’individuo per cambiare, riconoscersi o allontanarsi deve conoscere la propria comunità, identificarsi o meno in essa, apportando il proprio contributo.

Risultato di una pratica in una comunità: unione tra know-how e competenza.

Idee per una comunità di pratica

Insomma, capite che l’idea di comunità di pratica, oggi, è rivoluzionario. Siamo in un momento storico e in un Paese dove ci si unisce per togliere ad altri i diritti acquisiti. Ci si unisce in manifestazioni non per la conquista di un diritto, per il mantenimento di uno stato di lavoro. No. Ci si unisce per andare contro altro e altri. Vi sembra normale?

Una comunità di pratica è quello di cui si ha bisogno. Di cui tutti abbiamo bisogno.

Si vuole far parte di una comunità che alimenta relazioni, collaborazioni a distanza, scambi di esperienze, incontri frequenti. Ci si vuole sentire membri di una comunità, non seguaci, si vuole essere orgogliosi di questa appartenenza. Ma soprattutto si vuole essere partecipi del cambiamento.

Sentirsi parte del cambiamento

Essere membro di una comunità significa mettere in pratica valori, sperimentare la solidarietà e vivere la condivisione. C’è chi chiede, infatti, una condivisione estrema e trasparente dei temi, degli eventi, dei materiali, delle idee. Chi vuole sapere chi sono gli altri professionisti e con quali competenze stanno crescendo.

Si vogliono workshop, meeting, Jam, webinar. Divulgazione nei confronti dei privati, delle aziende, delle scuole, degli enti pubblici.

Una comunità per crescere. Insieme.

Il blog esiste e vuole creare un luogo dove poter imparare per crescere professionalmente. Insieme. Letture, libri, corsi di aggiornamento, eventi periodici, co-design. Non mancano certo le idee. E non mancano gli strumenti. Viviamo in un mondo con le maggiori opportunità di tutti i tempi.

La comunità deciderà nel tempo gli obiettivi e le missioni che avrebbero il sostegno e il contributo di tutti. Niente professori ma tutti studenti. I professori sono e saranno le nostre guide, li chiameremo anche per chiarirci quello che non è chiaro. Certo. Ma in una comunità di pratica tutti possono parlare senza alcuna soggezione. E tutti devono contribuire!

Ho creato un gruppo su facebook. E chi vuole partecipare basta che si iscriva.

Non è detto che avvenga. Non è detto che sia un bisogno di altri o che si abbia il tempo di partecipare.

Io resisto!

Comunque vada il blog resisterà. Un blog che cresce e che crescerà per la sua naturale evoluzione, legata ovviamente alla storia personale ed emotiva dell’autore.

Nasceranno anche servizi utili per i lettori. Questi possono andare a solo beneficio di pochi o di una comunità. Tutto dipenderà dalla risposta di ciascuno.

Se vuoi creare una comunità di pratica e anche contribuire, questa potrebbe essere una occasione. Ce ne sono altre, ovviamente. Ce ne sono di già esistenti. Di molte comunità già ne faccio parte. E se qualcosa nascerà da questo blog non è certo in contrasto, ma in aggiunta a tutto quello che già c’è.

Grazie!

Se hai letto quasi 1300 parole, di questi tempi, vuol dire che un po’ la cosa ti interessa. Condividi l’articolo, per favore. E grazie fin da adesso, per essere anche in questo modo comunità di pratica.

Comunità di studenti

Giu 24, 2019

Prendo spunto dalla recente chiusura di un gruppo Facebook che riuniva una comunità di studenti universitari di un corso di Architettura dell’informazione. Al suo interno si ritrovavano tutti gli studenti del corso e il docente dava comunicazioni varie sulle lezioni e sui progetti, articoli, spunti da approfondire.

La motivazione principale della chiusura, in breve, è stata che al suo interno non c’era, da tempo, alcun dialogo. L’unico ad alimentare il gruppo era appunto il docente, fondatore e amministratore del gruppo, che periodicamente proponeva link e spunti di interesse.

A questi link sarebbero dovuti seguire commenti e osservazioni. Che però non arrivavano.

Gruppi di dialogo o discariche di link?

Un gruppo nasce per dialogare e se questo dialogo non esiste è meglio chiudere questo spazio che diventa appunto un contenitore di link “inutili” e ulteriore perdita di tempo per chi li produce o soltanto li cerca per condividerli.

Devo ammettere che la chiusura del gruppo mi è dispiaciuta. Al suo interno io trovavo link sul metodo di lavoro dedicati appunto a studenti, per rinfrescare le basi, così come per scoprire temi su cui avevo ed ho lacune.

Nello stesso tempo trovavo quasi ovvio che non ci sarebbe mai stato alcun commento su quel gruppo. Quale studente, quale studente medio, aprirebbe, su un gruppo Facebook, una discussione con il proprio docente? O ancora peggio, sotto l’occhio del proprio professore. Chi aprirebbe un dibattito pubblico da cui potrebbe dipendere l’esito del proprio esame?

Certo, si tratterebbe di chiacchierare con il professore e questo sarebbe molto bello, quasi un privilegio. Ma immagino che chi, più estroverso, frequenta il corso, queste opportunità le colga in presenza, frequentando il corso, appunto, facendosi vedere dal docente durante gli orari di ricevimento, o durante i seminari consigliati in aula.

Architettura di Facebook per il flame

Facebook mi sembra poi un terreno pericoloso per discussioni di questo genere. E forse lo stesso appare agli studenti. Forse nessun studente si sognerebbe di intervenire con un commento che potrebbe inficiare il proprio voto, se non addirittura l’esame.

Perché, un po’ tutti, sappiamo che l’architettura dell’informazione di Facebook permette molto facilmente la nascita di flame, di messaggi ostili, di “risse virtuali”, nate molto spesso da stupide incomprensioni, da messaggi non del tutto esaustivi, se non addirittura dalla mancata modulazione di un tono di voce (scritto) che risulta aggressivo, anche quando non lo è davvero.

Definizione di flame secondo Wikipedia.

Il flaming è l’espressione di uno stato di aggressività mentre si interagisce con altri utenti di internet. La rete aumenta la possibilità di fraintendimenti nella comunicazione tra le persone rispetto alle situazioni faccia a faccia, ma incrementa enormemente anche la possibilità di inserirsi in nuove situazioni ed ambienti, in cui ogni utente tende a ritagliarsi un proprio spazio.
Frequentando una chat o un forum, nel tempo l’attaccamento dell’utente al proprio spazio diviene sempre maggiore; spesso l’utente cerca di intensificare la propria presenza nell’ambiente, postando più messaggi (in un forum) o chattando per ore (in una chat room). Ne consegue che per alcuni individui il fatto stesso di trovarsi in quel luogo diventa un vero e proprio bisogno. Quando un altro utente o una situazione particolare mette in discussione lo status acquisito dall’utente, questo si sente minacciato personalmente.
La reazione è aggressiva, e a seconda dei casi l’utente decide di abbandonare lo spazio definitivamente (qualora abbia uno spazio alternativo dove poter andare), oppure attua il flaming (qualora ritenga necessario rimanere nel “suo territorio” dove si è faticosamente creato uno status).

Gruppi sonnolenti

Se dunque gli studenti di un corso di laurea hanno paura di esporsi, tanto più questa paura pervade i professionisti.

Altri gruppi, infatti, seppure numerosi e con un pubblico altamente qualificato, restano silenziosi e sonnolenti per lunghi periodi. Solo i fondatori si permettono di attivare, ogni tanto, qualche conversazione, su temi di estrema sicurezza, a cui partecipano uno sparuto gruppo di persone che la pensano grosso modo alla stessa maniera. Ma soprattutto su temi che non inficiano la professionalità di nessuno.

Tutti gli altri, generalmente, restano a guardare o ad ascoltare, ben consapevoli che chi ha osato unirsi alla conversazione (con leggerezza) non ha avuto scampo. La fine delle conversazioni, infatti, è stata spesso determinata da interventi più o meno bruschi, di chi aveva più argomenti.

Peccato che insieme al singolo si sono zittiti decine di persone.

C’è bisogno di una comunità di studenti?

Ma esiste una comunità di studenti? Oppure ognuno combatte la propria guerra personale? Sicuro che esiste una comunità, in mezzo o attraverso le centinaia di professionisti presenti. Esiste nella strada e nei vari incontri dal vivo? Sicuramente manca, a mio parere, nell’online.

Sempre che ci sia bisogno di un gruppo online dove dialogare. Gli studenti o i professionisti, sentono davvero il bisogno di riunirsi per parlare? C’è davvero una comunità, non dico una comunità di pratica che già esiste, o spazi che offrano link, informazioni e dati, ma di una comunità di dialogo online.

Parlo di comunità di confronto, di uno spazio dove elencare idee per una comunità, ma anche dove cercare di mettere insieme pareri contrastanti, ma comunque di crescita. Dove esprimere dubbi, paure, incomprensioni. Forse un gruppo che è meno di una comunità di pratica e un po’ più di una comunità di condivisione.

Alla ricerca di confronto

Personalmente, da quando sono più stanziale nella profonda provincia ed ho accettato la sfida di fare architettura dell’informazione in provincia, sono più alla ricerca di un confronto con gli altri che di informazioni.

Mi pare che la differenza tra la città e la provincia, infatti, sia, oggi, (almeno in parte) questa. Nelle città c’è maggiore possibilità di confronto con gli altri ed anche le semplici chiacchierate possono diventare motivo di arricchimento.

Nella provincia i dibattiti volgono verso la sopravvivenza. E i momenti di crescita sono molto più rari.

Il blog mi spinge a studiare, a ricercare informazioni, ad arricchire l’archivio di conoscenze. Da questo punto di vista l’Internet è una risorsa infinita. Ma resto nella mia bolla. Il momento di meraviglia è raro e faticoso da trovare.

E sebbene il blog ha un discreto successo resta comunque un pulpito dove il confronto magari avviene su quale registratore acquistare, ma non sugli altri temi di cui mi occupo.

Gruppo per liberare i pensieri

Mi piacerebbe dunque partecipare o essere parte di un gruppo dove ciascuno fosse libero di parlare e di sbagliare liberamente e dove tutti potrebbero dare il loro contributo.

Un gruppo dove nessuno si dovrebbe sentire escluso, dove nessuno abbia il timore di essere bocciato come studente, come professionista o, peggio ancora, come persona.

E se nascessero dubbi, domande scomode, osservazioni strambe, queste dovrebbero essere del gruppo.

Capisco che poi le dinamiche del gruppo si possono risolvere in modo del tutto originale e inaspettato. Ma questo non dovrebbe impedire di provarci.

La mia idea di gruppo Facebook per una comunità di studenti

Di questo gruppo dovrebbero far parte tutti coloro che si sentono esclusi dalla torre d’avorio, chi non si è mai sentito tanto preparato per poter intervenire. Ciascuno dovrebbe potersi esprimere mettendo in luce i propri pensieri.

I dubbi, le osservazioni, le conclusioni che non troverebbero risposta nel gruppo, dovrebbero essere poi sottoposti ai docenti o agli esperti o a chiunque ne sa più di tutti messi insieme, per essere sciolti e/o risolti. Perché comunque non si tratterebbe di un gruppo a perdere o al ribasso.

Sarebbe bello poter porre tutte le domande che ci ronzano nella testa, elencandole, organizzandole e poi trovare con chi parlarne.

Il blog come spazio a disposizione

Il blog si offre come portavoce ed è qui disponibile ad accogliere e organizzare, per futura memoria, le domande e le risposte. E si impegna a trovare risposta tra i professionisti, i docenti che vorranno rispondere, in Italia così come all’estero.

Che ne dite? Che ne pensate? Come la vedete?

Si può partire da ovunque voi vogliate. Se c’è già, esiste, vi chiedo di segnalare spazi di questo genere. Altrimenti si può partire da questo gruppo già esistente per un primo incontro per tutti.

Ma magari sarebbe meglio creare (partendo dai commenti a questo post) un nuovo gruppo dedicato allo scopo. Oppure scrivere liberamente in questo documento drive . Fatemi sapere, sul serio.

Domande dei lettori

Un anonimo scrive

Buona sera 

Dove si trovano delle comunità dove tutto è di tutti, dove puoi veramente apprendere delle basi su cui puoi vivere serenamente in un ambiente sano, sogno da una vita ( nel vero senso della parola) la comunità che hai descritto nei blog.

La domanda è, dove si trovano?

Forse è solo un sogno, mio, come tuo o di altri. Ma se è un sogno comune, la mia contro domanda è: perché non provarci? Cosa ci vuole? Cosa vogliamo che sia?

Ma anche no

Anche no, potreste dire. Che, in fondo, di gruppi ce ne sono già abbastanza. Anche troppi per il numero reale di interessati. Che bastano i gruppi già esistenti. Del chi se ne frega se uno non si vuole esporre.

Potreste aggiungere che sbaglia chi, approfittando della frammentazione territoriale e professionale, invece di coalizzarsi diluisce, di fatto, il dialogo creando il proprio “gruppo personale”. Sbaglia chi suo malgrado, volendo diffondere maggiormente, di fatto, toglie energie ai gruppi che sono venuti prima.

Forse la mia è solo una sensazione sbagliata che deriva dalla lontananza fisica. Forse questo confronto ridotto all’osso online c’è vivo nei meet up o negli UX Book delle città e chi lo vuole se lo cerca. In fondo, basta incontrarsi una volta ogni anno.

Magari non c’è dialogo perché nessuno è interessato a parlare online e questo bisogno non è un bisogno della comunità ma del singolo che se lo risolve a proprio modo.

Se così fosse ne prendo atto. Potrebbe essere che questa proposta arrivi troppo presto, troppo tardi, che non raccolga alcun bisogno se non quello mio personale.

Io qui avvio il dialogo, oggi come ogni lunedì.

Voi che dite? Ripeto. Fatemi sapere!

Come sostenere una comunità?

Feb 10, 2020 

Come sostieni tu una comunità? Come sostenere un comunità? E come si sostiene una comunità?

Cosa stai facendo tu, adesso, in questo periodo, per la tua comunità? La tua comunità di riferimento; quella da cui trai informazioni e/o dei vantaggi? Forse stai facendo tanto, anche troppo, o forse niente?

E sul web? Quale contributo stai dando? Qual è il tuo contributo per un internet migliore? Hai una qualche comunità di riferimento? Ti senti parte di qualcosa? Oppure sei un solitario in cerca di formazione e informazione?

Leggi Comunità (Italiano) Copertina flessibile – 23 maggio 2019 di Marco Aime.

Le richieste di aiuto di Wikipedia

Qualche tempo fa mi ha colpito la richiesta di aiuto da parte di Wikipedia. Se mi segui, se leggi il blog sai che ne faccio uso per condividere determinate definizioni.

Non so se scrivi anche tu, Ma sono certo che qualche volta hai fatto uso di wikipedia per avere qualche informazione. E magari hai preferito questa piattaforma a giornali o blog vari.

E ancora, hai mai contribuito facendo una donazione, rispondendo alle loro richieste? Oppure ha contribuito scrivendo una definizione?

Come dicevo, dal momento che sono un fruitore del servizio, tempo fa, ho deciso di fare una donazione alla fondazione wikipedia. Per questo motivo, periodicamente ricevo alcune mail che mi chiedono da un lato di rinnovare la donazione e dall’altro lato mi spiegano come procede la donazione in generale.

Acquista Fondamenti di psicologia di comunità. Principi, strumenti, ambiti di applicazione (Italiano).

Gratitudine e solitudine

Certo, Wikipedia mi scrive che mi è sempre grato della mia prima e (ahiloro!) unica donazione. Però sarebbe felice di ricevere ancora qualcosa. Che per loro è la risposta al come sostenere una comunità.

Ma quello che è davvero imbarazzante (termine che scrivono loro in oggetto alle mail) è che… scrive Wikipedia.

Forse stai pensando: Wikipedia andrà bene anche se non donassi oggi. C’è sempre qualcun altro che dona. È un po’ strano dirlo, ma considera che meno dell’1% dei lettori dona a Wikipedia. È la tua generosità che ci fa andare avanti. La consapevolezza che ciò che stiamo facendo è importante ed è importante per le persone come te. Garantisce che Wikipedia sia qui per te quando hai bisogno di noi.

Anche meno dell’1%. per wikipedia, significa fare un bell’incasso, perché lavorano a livello globale.

Però a me colpisce che, nonostante wikipedia offra un contributo notevole a tutti i naviganti, da cui un po’ tutti traiamo un beneficio, riesce ad attrarre e convincere meno dell’1%.

Come mai?

Acquista Senso di comunità. Come e perché i legami contano (Italiano) Copertina flessibile – 31 maggio 2016.

Comunità aride o comunità vive

Wikipedia non sa fare comunità? Le persone che leggono, copiano e incollano i loro contenuti non si considerano una comunità? Oppure lo sono, lo sanno e non passano all’azione? Come sono queste comunità? Sono aride e assetate, vuote e affamate? Oppure sono vive e fruttuose?

Le comunità che oggi sono attive, sono comunità chiuse e piegate al volere del guru di turno, che magari zittisce tutto e tutti? Oppure si tratta di comunità che alzano barriere di giudizi e pregiudizi? O ancora, esistono comunità aperte e in ascolto?

Io ho sempre immaginato una comunità come un progetto di crescita. Uno spazio dove poter contribuire e dove il mio contributo venga valorizzato. Insomma, una comunità di pratica.

Sono alla continua ricerca di una tribù. Ma per quanto cerchi non l’ho ancora trovata del tutto.

Il paradosso delle comunità?

Io credo che oggi sia difficilissimo creare una comunità. Attenzione le comunità ci sono, ma sono quelle storiche.

Per esempio, io ho contribuito scrivendo alcune voci di wikipedia, almeno per quello che ritenevo di poter migliorare. Ebbene, anche lì, c’è un gruppo di censori che hanno cancellato quanto scritto, perché avevo aggiunto link a blog che confermavano e certificavano quanto io scrivevo. Trattandosi di blog autorevoli di settore, li ritenevo e li ritengo una fonte.

Quindi, di quale comunità stiamo parlando?

Quindi i soldi vanno sempre bene, mentre il mio contributo, no? Siamo tutti dei bravi abbonati quando paghiamo in silenzio? E non lo siamo più quando vogliamo anche noi prendere parte al gioco?

Personalmente so benissimo che ascoltare è una azione complessa. Si tratta di un atto di estrema umiltà e apertura, che porta a profondi cambiamenti. L’ascolto richiede empatia, richiede una trasmigrazione del proprio essere verso l’altro, anche quando l’altro è il nostro opposto.

Anche per questo alcuni social hanno una grande successo. Perché ci chiudono in bolle informative che confermano quanto noi diciamo e pensiamo. Ci mettono su un piedistallo e ci fanno fare il nostro spettacolo.

Non Conclusioni

Ma che tu sia sul piedistallo o su una comoda poltrona come spettatore, qual è la crescita che ne ricaviamo?

In conclusione, a me resta un immenso interrogativo. E ci penso. Come sostenere una comunità? Come trovare una comunità di pratica, vera?

Se arriverò a qualche conclusione, come al solito la condividerò. A me sembra la cosa più ovvia da fare. Siete voi la mia comunità a cui contribuisco con il mio tempo e le mie parole.

Se avete qualche idea o proposta, i commenti sono in ascolto e a vostra disposizione. E siccome qualcuno si è già fatto avanti, battendo un colpo, sappiate (sappi) che presto mi farò sentire. A presto!

Idee per una comunità

Gen 10, 2018 |Compleanno di Baden-Powell

Idee, comunità, condivisione, passione, voglia di stare insieme, di costruire qualcosa, di lasciare il segno. È solo una parte di quello che queste 33 idee per una comunità esprimono. Nell’ultima edizione del Summit italiano di architettura dell’informazione è stato lanciato un hashtag su Twitter molto interessante. #IIAS17Ideas che raccolgo qui di seguito.

Conversazioni” è la mia rubrica di raccolta delle conversazioni di valore che si disperdono (nel tempo) sui social e che qui, sul mio blog, invece, trovano una casa sicura.

33 splendide idee per una comunità.

Idee per una comunità

#IIAS17Ideas formazione nelle scuole per costruire nuove competenze trasversali, perché l’architettura dell’informazione permea molti più campi di quanto crediamo.

Sposare un uomo ricco ed usare i suoi soldi per promuovere l’associazione. #IIAS17ideas.

E se portassimo al Summit anche il business? Con casi di successo raccontati e ascoltati da chi in azienda decide?

Traduzione simultanea (a pagamento) per evitare di far vivere esperienze frustranti a chi non usa l’inglese ogni giorno.

Rendiamo gli #uxbookclub ‘nodi’ locali della rete @ArchitectaIA e alimentiamo relazioni reali🤝 collaborazioni a distanza 🌐scambi di esperienze ➿con un #IAsummercamp d’intermezzo per rivederci tutti “destrutturati” #mappiamoci #onlife.

Fare branding invitando i soci ad apporre in calce alle loro firme, digitali e non, la dicitura “Proudly member of Architecta”.

aprire un canale slack di architecta per la condivisione di temi/eventi/materiali/idee.

Organizzare concorsi aperti al pubblico, nei quali vince chi segnala (motivandolo) i peggiori esempi di IA UX UI VUI.

creare un wiki di informazioni e risorse riguardanti l’architettura dell’informazione e di user experience.

Intervenire su elementi ambientali (riconducibili a tematiche IA) che non vengono usati come dovrebbero, ‘reinterpretandoli giocosamente’, così che il loro utilizzarli, si traduca in alfabetizzazione e viralità del brand (valore+conoscenza).

“the Architecta Prize”, annuale, al miglior progetto di imprese o PA per usabilità, inclusive design, IA e coerenza utenti-valori-servizi.

Una mappa dei soci con le relative competenze.

Summit school a Marettimo. Secondo Butler era la vera Itaca. Del resto l’architettura dell’informazione non è un po’ un’Odissea?

Un calendario di @ArchitectaIA in ogni ufficio di aziende italiane che si occupano di #IA #UX #servicedesign con gli appuntamenti annuali #summit #WIAD #EuroIA e una definizione al giorno di metodi/strumenti al posto dei santi.

Un repository in cloud con documenti, template, sdk, wireframes condiviso e categorizzato per ambiti di sviluppo.

#IIAS17IDEAS Fare branding creando divertenti video virali, firmati @architecta, su tutte le possibili conseguenze del bad design.

Vogliamo @resmini che chiude tutti i Summit di #IA @Architecta fino alla fine dei tempi #amen.

rendere la complessità degli argomenti più accessibile, attraverso workshop focalizzati sulla relazione tra teoria e strumenti, con esempi pratici.

Architecta IA Jam autoorganizzata in varie città lavorando sul sito del proprio Comune così aiutiamo http://designers.italia.it .

Perché non lavorare per far diventare @ArchitectaIA riferimento di settore in Italia per l’e-learning? Videocorsi e simili. I contenuti non mancano :).

Una passeggiata per Roma/Bologna/Palermo ecc. con il prof @resmini che ci parla di architettura

Organizzare webinar con diverse finalità e a vari livelli: formazione per avvicinare i neofiti, informare sui temi caldi per fare cultura sulla IA, comunicare le attività di architecta, ecc…

Sviluppare un’app per servizio di coworking p2p. Stile AirBnb ma per sale riunioni.

La mia percezione di @ArchitectaIA prima di oggi era di contesto “esclusivo”. Una migliore comunicazione può aiutare a raggiungere chi nn crede di essere in target.

Architecta come punto di riferimento nella discussione “istituzionale”, le basi della disciplina per chi si affaccia ora, e “monografica”, con tema dell’anno (es. Conversazioni) su cui da gennaio la comunità può confrontarsi nei book club o Architecta local chapters.

per sketch Costruiamo un toolkit dove raccogliere e sistematizzare i nostri strumenti per calarli al meglio nei nostri progetti. Uno strumento in continua evoluzione per raccogliere idee e perfezionarle!

Con foto tipo calendario Pirelli!

andare nelle scuole (quelle basse) e promuovere “conversazioni” (acchiappali da piccoli!).

Architecta come collettore di tutti gli uxbookclub e community locali che trattano a vari livelli di #ia & #ux #golocal.

O anche solo dare patrocinio @ArchitectaIA in cambio di 5′ sul tema e sull’associazione.

Fare branding attivando workshop firmati #architecta nell’ambito di eventi/manifestazioni organizzati da terze parti (es. SMAU).

istituire una Jam collaborativa di due giorni in cui potersi ‘sporcare le mani’ insieme su un tema specifico .

seleziona talenti! Istituiamo il Premio Architecta per progetti di Design (progettazione).

Fuori concorso

Quel che manca a tutti è comunque un contatto vero e diretto. Anche continuo, volendo. E, infatti, Debora Bottà ci invita tutti a incontrarci anche senza un motivo se non altro per incontrarci.

La mia idea

La mia idea, l’ho elaborata dopo molto tempo e si tratta di creare una comunità di studenti.

Se siete interessati (voi, tu) siete persino arrivati fin qui, continuate a seguire il blog e scrivetemi. Qualcosa faremo.