Non ho mai raccontato il perché l’architettura dell’informazione è diventata la mia professione e continua ad essere la mia passione. Ho sempre spiegato cos’è l’architettura dell’informazione, l’importanza della progettazione e il suo valore. Così come ultimamente davanti alla scelta di diventare UX Designer mi sono chiesto se davvero sono tutti esperti di UX.

Non so se, ad oggi, sono riuscito a farvi comprendere l’importanza di questa disciplina. Così come non so se è davvero chiaro il cambio di paradigma rispetto al web.

Così ho deciso di raccontarvi come ho incontrato io l’architettura dell’informazione e l’epifania che ho vissuto.

Rifacimento del sito

Qualche mese prima del mio incontro con l’architettura dell’informazione, l’ente per cui lavoravo si aveva avviato il rifacimento del sito istituzionale. Come servizio comunicazione, che frequentava il sito in lungo e in largo, non sapevamo nulla di questo rifacimento. Un giorno qualsiasi, dall’alto si era dato mandato al dipartimento di sviluppo web di rifare il sito. E il dipartimento così fece.

Dunque, ad un certo punto, è arrivato il sito. Un sito definitivo. Quello era. Prendere o prendere.

Ovviamente, se in generale si trattava di un lavoro accettabile, nel particolare c’erano grossi problemi soprattutto di gestione. Il prendere o prendere non poteva funzionare. Certo, gli sviluppatori, dal canto loro, avevano già lavorato tanto e per loro il risultato che presentavano era quasi definitivo. Non volevano e non potevano accettare le richieste di modifiche sostanziali al loro lavoro.

Ricerca fai da te? Neanche.

A distanza di anni, e ancora oggi non riesco a capire come si erano avviati a questo lavoro, in autonomia, senza chiedere niente a nessuno e comunque confrontandosi solo tra sviluppatori senza confronti esterni. Come potevano pensare che, una volta presentato il sito, non ci sarebbero state delle obiezioni o delle difficoltà, da parte di chi avrebbe usato il sito. Come è possibile realizzare un sito web senza coinvolgere le persone e senza aver fatto un briciolo di ricerca sulle persone?

Cosa sempre grave, ma potrei pure accettare che son si fosse pensato di coinvolgere gli utenti finali del sito? E va bene, non ci sarebbe stato budget. Ma come si può pensare di creare un sito, senza coinvolgere le persone che avrebbero dovuto implementare il sito? Doveva essere ovvio chiedere un confronto iniziale, valutare i pro e i contro di ogni scelta. Non è stato fatto.

Per la realizzazione del sito non era stato interpellato nessuno. Lo sviluppatore capo, insieme ad un paio di suoi colleghi, avevano fatto tutto, dalla ricerca allo sviluppo vero e proprio.

Ma cosa avevano studiato? Cosa avevano ricercato? In pratica, avevano visto altri siti di istituzioni simili alla nostra che si trovavano all’estero, hanno preso tutto quello che ritenevano, dal loro punto di vista, “buona pratica” da quei siti, utilizzando strumenti diversi, e avevano messo tutto insieme. Senza neanche valutare che il numero di persone presenti nelle redazioni era notevolmente diverso.

A loro giudizio però, a prescindere dagli utente e a prescindere da chi doveva implementare il sito, quel sito era il meglio del meglio.

Presentazione del sito

Quando ci venne presentato il sito, ci dissero che era già pronto per andare online. Mancava solo per il tempo della formazione per implementare il sito ed era fatta.

Questo nelle fantasie di chi aveva tutto in testa e che non aveva fatto i conti con la realtà. La realtà era che implementare il sito richiedeva molto tempo. Alcuni elementi che nel vecchio sito erano secondari, come le foto, diventavano fondamentali. Senza contare che ciascuno degli impiegati, a cui si presentava il sito, aveva qualcosa da ridire sulla grafica, sul posizionamento delle informazioni, sul numero di informazioni presenti nella pagina, sulla relazione home page e blog. Insomma, c’erano problemi di architettura dell’informazione che nessuno aveva valutato. Gli sviluppatori, infatti, per le scelte di architettura si erano basati principalmente sul CSM utilizzato e non sui bisogni degli utilizzatori.

Seguirono riunioni su riunione, anche aspre, dove l’errore di fondo restava sempre un sito che gli sviluppatori non avevano nessuna intenzione di rifare.

Nessuna risposta

Quando facevo delle obiezioni mi sarebbe piaciuto avere delle risposte. Sapere che un altro sito, seppure importante, aveva fatto quella scelta ed era stata copiata non mi soddisfaceva. Anche perché la mancanza di risposte (sensate) allontanava il problema e dava spazio a tutte le obiezioni di questo mondo. Sul sito preso a modello dagli sviluppatori si era fatta una scelta, ma su altri siti si era fatta una scelta diversa.

Cioè gli sviluppatori, al tempo, avevano fatto una ricerca di mercato, su basi sconosciute, e non una ricerca sulle persone.

Ma non solo, quando il sito fu presentato a più persone e ad altri uffici, ciascuno riferiva la sua opinione. E quello che doveva essere e che in effetti era il momento di ricerca, restava l’opinione di uno qualunque.

“Il video lo metterei in alto a sinistra. Il logo è troppo grande. Il sottotitolo troppo piccolo, il pulsante è bruttissimo, allargherei questo, stringerei quell’altro, qui non si capisce…”. E così via, all’infinito, per ciascuna persona a cui si chiedeva un parere. E tutti avevano ragione dato che non si poteva mai giustificare quella scelta, se non il gusto personale degli sviluppatori.

Fare ricerca fa risparmiare tempo

E già questo mi fece capire, fin da allora, che la ricerca sulle persone fa risparmiare tempo.

Se fai ricerca le persone ti dicono i loro bisogni, le loro paure e le loro difficoltà. Se fai scelte su questi dati, intanto dai delle risposte ben precise e quando vedono il risultato lo accettano perché sanno che gli sono dati gli strumenti adatti proprio per loro.

Ma non solo, gli sviluppatori lavorano solo una volta, semmai dovranno sistemare qualcosa, ma certamente non dovranno rimettere mano sull’intero progetto che magari andava da tutt’altra parte.

L’architettura dell’informazione

Quando incontrai la disciplina e qualcuno mi disse che le informazioni andavano ordinate secondo un ordine ben preciso, cioè derivante dalla ricerca sulle persone, e che in ogni progetto si mette la persona al centro, mi si aprì un mondo di meraviglie.

Insomma, c’erano gli standard che andavano rispettati, come c’era un periodo di ricerca dove si capiva come le persone usuifruivano del sito, le cose più importanti che volevano sapere, dove le cercavano e dove fargliele trovare.

Mi fu spiegato che, dove lavorava un architetto dell’informazione, ciascuna scelta fatta aveva una risposta, non data dal caso o dal gusto personale del progettista e/o dello sviluppatore.

Insomma ero passato da “È così perché lo sviluppatore dice che deve essere così” a “Non siamo l’utente medio”.

Non basta l’architettura dell’informazione

Se da un lato il mio entusiasmo era esploso, dall’altro capii tante cose.

Nel mio piccolo, senza averne gli strumenti e i metodi, avevo fatto ricerca sulle persone da anni. Mi vennero in mente tutte le chiacchierate e le domande che facevo a chi frequentava il mio pezzo di sito, che tra l’altro veniva gestito in modo collaborativo.

Non avevamo fatto una ricerca vera e propria, ma ciascuno implementava un pezzo importante.

Ritornai in ufficio con immenso entusiasmo. Avevo aperto il vaso di pandora della conoscenza. Raccontai e spiegai che nel mondo, da alcuni anni, c’erano persone che lavoravano per dare risposte a tutte quelle domande che tutti facevamo rispetto al nuovo sito, che tra l’altro non decollava.

Spiegai quello che si poteva fare, ma i miei interlocutori non capirono, mi guardavano assenti. Io, forse, non avevo gli strumenti necessari per spiegare al meglio. Per me era chiaro che bisognava ripartire dalle persone. Per gli altri no.

Altra cosa molto chiara fu che non avevo alcuna autorità. Chi mi ascoltava non ascoltava e non voleva capire.

Forse vedeva un giovane esaltato che pensava di aver trovato tutte le risposte ai problemi del mondo. Sicuramente, non ascoltava mentre pensava al lavoro già fatto, che per carità era stato davvero tanto, e a tutto il lavoro che non avrebbe voluto fare.

Ci vuole autorità

Non basta, infatti, sapere che l’architettura dell’informazione esista e che si può applicare al tuo ecosistema digitale e dimostrare che funziona. Ci vuole pure una dirigenza disposta ad ascoltare, aperta a declinare qualche scelta in favore delle persone.

Perché l’architettura dell’informazione richiede di fare delle scelte e non sempre l’architetto dell’informazione, almeno per quel che ne so io, ha questa autorità decisionale. Ce l’ha solo se gli viene data, sempre dall’alto.

Perché l’architettura dell’informazione

Per me l’architettura dell’informazione è diventata una scelta obbligata.

Come dicevo, io già facevo architettura dell’informazione senza saperlo. Creavo connessioni, creavo comunità, facevo una radio, fondata e messa in onda, sul web, dal basso, a misura di persone per le persone.

Non potevo fare altro. L’essere architetto dell’informazione in mezzo a persone che non mi ascoltavano, però, è stato impossibile. Non sono riuscito a lasciare separata la mia personale visione con la diversa visione del mondo che mi circondava.

I miei entusiasmi furono sommersi da valanghe di lavoro che non amavo particolarmente. Io volevo parlare con le persone, ascoltare le loro storie, mentre il mio lavoro veniva focalizzato su infinite sezioni di montaggio audio e video. Sempre di organizzazione si trattava, ma anche no.

Certo, per il mio modo di lavorare, ho amato anche quello, ma ero, sono e resto un architetto dell’informazione, che ascolta principalmente i bisogni delle persone e da risposte a chi fa domande.

Se non ho risposte, so che c’è qualcosa di sbagliato.

E tu? Come e perché hai iniziato ad amare l’architettura dell’informazione?